Senza cupidigia
[Without Covetousness]
Compilazione
La vostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro; siate contenti delle cose che avete; perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò». —Ebrei 13,5[1]
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E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». —Luca 12,15[2]
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Tutti ci accumuliamo dei tesori, in qualche modo. Non li noteremo nelle nostre disponibilità o nel conto in banca, ma c’è qualcosa che ci dà un motivo per alzarci la mattina. Il nostro tesoro è qualsiasi cosa controlli il nostro cuore e può essere terreno o celeste. La realtà è che abbracciamo entrambe le sfere e, per quanto i nostri interessi possano essere celesti, viviamo sulla terra e siamo soggetti alle sue esigenze e ai suoi valori.
Ciò che all’inizio per noi è un tesoro, terreno o celeste che sia, è una cosa che sta al nostro servizio e contribuisce ai nostri interessi. Man mano che lo accumuliamo, il nostro tesoro diventa la nostra visione e col passar del tempo ciò che all’inizio era il nostro tesoro ed era diventato la nostra visione diventa il nostro padrone. Il libero arbitrio che ci è stato dato in realtà si limita a una scelta: chi è il nostro padrone? Da quel momento, tutto quello che facciamo è una spiegazione logica del principio padrone della nostra vita. O è temporale, o è eterno; o mette al centro noi, o mette al centro Dio; o è terreno, o celeste; ma non può essere entrambi.
Oggi la società osserva il principio che lo stato sociale e il successo di una persona si ricollega direttamente alla reputazione e alla ricchezza materiale; ma la società vede le cose al contrario. Non possiamo mettere la ricerca del denaro, del prestigio e del potere davanti alla ricerca di Dio. Gesù dice che non possiamo servire Dio e il denaro.[3]
Le caratteristiche dei tesori celesti sono l’esatto opposto di quelli terreni. Invece di essere temporanei e problematici, sono permanenti e pacifici. Accumulare un tesoro in cielo vuol dire vivere sulla terra con in mente il cielo. I principi che governano i nostri valori, i nostri obiettivi e il nostro comportamento non dovrebbero restare confinati a questa vita e manifestarsi “davanti agli uomini”. Dovrebbero essere essenzialmente principi eterni e manifestarsi davanti a Dio. Quegli stessi beni, quei bilanci bancari, quelle occupazioni, quegli standard di vita possono costituire dei tesori in cielo o sulla terra. La questione non sta nella quantità dei beni abbiamo accumulato, ma negli spettatori che osservano la nostra vita.
Il materialismo non ha a che fare con quello che effettivamente possediamo, ma nell’atteggiamento che abbiamo verso di esso. Tutto ciò che perderemo quando moriremo dovrebbe avere il giusto valore ai nostri occhi adesso; e ciò che invece manterrà il suo valore oltre la morte è quello in cui dovremmo investire. Una volta stabilito il principio di accumulare il nostro vero tesoro in cielo, la nostra visione è buona e il nostro padrone è Dio. —Charles Price
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Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. —Matteo 6,19-21[4]
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Il giovane ricco arrivò di corsa da Gesù e inginocchiandosi disse: “Buon Maestro, che buone azioni devo fare per avere la vita eterna?” Notate come sottolinea la bontà, la sua rettitudine, la ricerca della salvezza mediante le sue buone opere e la sua giustizia personale. Troverete la storia in Matteo 19, Marco 10 e Luca 18. Gesù però lo riprende per aver chiamato buona un’altra persona all’infuori di Dio (un gentile rimprovero per la sua pretesa devozione), poi gli dice che deve osservare i comandamenti. Curiosamente quello gli chiede: “Quali?” Evidentemente doveva aver afferrato l’idea di non essere poi tanto buono e sperava di rispettare quelli necessari per la salvezza.
Così Gesù gliene cita circa metà, quelli che proibiscono ciò che la maggior parte della gente considera i peccati peggiori e che Lui evidentemente sapeva che questo bravo giovane doveva aver rispettato. E il giovane, chiaramente risollevato, si vanta con grande entusiasmo di averli osservati. Ma Gesù lo sta prendendo per il naso, evitando con attenzione i comandamenti che il giovane potrebbe non aver rispettato così tanto, come: “Non avrai altri dei di fronte a Me. Non ti farai idoli né immagini… Non ti prostrerai davanti a loro… Non desiderare…”. Poi quello che Gesù stesso aveva detto che era il più grande di tutti: “Ama il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore”.
Il giovane chiede con sincerità: “Che cosa mi manca?” “Perché non sono felice? Perché non sono soddisfatto? Perché mi sento incerto per il futuro? Perché i miei beni e la mia posizione non mi portano contentezza e pace dello spirito?” Gesù lo aveva spinto a rivelare il suo peccato più grande: l’orgoglio spirituale. Ora lo mette alla prova: sarà disposto a rinunciare a tutte le cose che desidera, a tutti gli altri dei che adora, agli idoli a cui s’inchina – le sue ricchezze, la sua posizione, le opinioni degli uomini, la sua idolatria della cupidigia?
Sapendo la lotta e la triste decisione che le sue parole avrebbero provocato nel cuore del giovane, Gesù lo guarda con compassione e amore e gli dice che gli manca soltanto una cosa, poi gli chiede di prendere la decisione più difficile della sua vita: “Va’, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e vieni; prendi la tua croce e seguimi, e tu avrai un tesoro nel cielo!”[5] Ma quando il giovane sentì questo se ne andò triste, perché aveva molti beni. Così Gesù si rivolse ai suoi discepoli e disse: “Com’è difficile che un ricco entri nel regno dei cieli! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”.[6] Questa era una porta strettissima nelle mura di Gerusalemme, per attraversare la quale i cammelli dovevano trascinarsi sui ginocchi, spinti e tirati dai loro conducenti, lanciando urla di dolore e protestando ostinatamente. Che immagine!
Udendo questo, i suoi discepoli si meravigliarono e dissero: “E chi allora può essere salvato?” Ai loro giorni, molti dei ricchi erano i farisei più religiosi e ipocriti. Così devono aver pensato che se perfino loro avrebbero avuto tali difficoltà, che possibilità potevano avere i pubblicani e i poveri peccatori? E Gesù riconobbe che era impossibile a chiunque salvarsi senza la potenza miracolosa di Dio. “Per gli uomini questo è impossibile, ma per Dio ogni cosa è possibile”.[7]
Il lato più triste dell’intera esperienza era che le ricchezze di questo giovane non gli avevano mai dato felicità né soddisfazione, altrimenti non sarebbe arrivato di corsa da Gesù, implorando una risposta per la sua infelicità. Tuttavia, quando Gesù gli diede la risposta per la vita, l’amore e la felicità, che si trovava nel rinunciare a tutto per Gesù e per gli altri, se ne andò via ancora pieno delle pene causate dalle ricchezze. Se ne ritornò da quelle ricchezze che non lo avevano mai soddisfatto e, ricco com’era, fu lo stesso incapace di pagare il prezzo della gioia di dare tutto. E questo chiaramente dimostra che amava le cose più di Dio. —David Brandt Berg
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O anime, anime, anime! Fate soprattutto attenzione alla cupidigia! Non è il denaro, né la sua mancanza, ma l’amore del denaro che è la radice di tutti i mali. Non è il procurarselo; non è nemmeno il conservarlo; è l’amarlo: è il farne il vostro dio; è il vederlo come l’occasione principale e non considerare la causa di Cristo, né la verità di Cristo, né la santa vita di Cristo, ma l’essere pronto a sacrificare tutto per amore del guadagno. —C. H. Spurgeon
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Un giorno Abramo Lincoln stava scendendo la strada con due bambini che piangevano forte. Un passante gli chiese: “Cosa succede, Abe? Come mai fanno tante storie?” Al che Lincoln rispose: “Il problema di questi due è lo stesso di tutto il mondo; uno ha una noce e l’altro la vuole!” È una storia vecchia e fa sorridere, ma illustra umoristicamente un grosso problema che l’umanità conosce da sempre: la cupidigia.
La tragica ironia è che il diavolo tentò la donna con qualcosa che era già la verità: creata a immagine di Dio, lei era già come Lui! Irradiava già la sua maestà e la sua gloria; esisteva già nella perfezione. Ma questo non era sufficiente per lei. Non le bastava la luce divina che pulsava dentro di lei; voleva essere la luce stessa. —Hannah Anderson
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Il nostro carattere cresce ogni giorno. La domanda è: in quale direzione cresciamo? Cresciamo verso un carattere pio o empio? Cresciamo in amore o in egoismo; in durezza o pazienza; in cupidigia o generosità; in onestà o disonestà; in purezza o impurità? Ogni giorno facciamo il nostro tirocinio in una direzione o nell’altra, con i pensieri che pensiamo, le parole che diciamo, le azioni che intraprendiamo, le cose che facciamo. —Jerry Bridges
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Il denaro chiaramente non è intrinsecamente un tesoro; l’amore sì, la bontà sì, la gioia sì. Un discepolo diletto, in un momento d’ispirazione, annunciò la profonda verità che l’amore è “da Dio”, viene da Lui. Gli uomini dividono erroneamente l’amore in due tipi: “amore umano” e “ amore divino”; ma in realtà esiste un solo amore. Dovunque l’amore sia entrato a far parte della natura dell’anima e abbia reso “naturale” dimenticare se stessi a favore degli altri, cercare di dare invece di ricevere, condividere invece di possedere, impoverire perché una persona cara possa arricchire, là si è formato uno spirito pio e divino. E a quel punto troviamo un tipo nuovo di ricchezza, uno che aumenta quando viene usato, perché è una legge sicura che più lo spirito dell’amore è esercitato, più l’anima si spende in amore, tanto più amore ha, più ricca diventa e più la sua natura si fa divina. —Rufus M. Jones
[1] NR.
[2] CEI.
[3] Matteo 6,24.
[4] CEI.
[5] Vedi Matteo 19,21.
[6] Vedi Matteo 19,22–24.
[7] Matteo 19,25–26.
Pubblicato sull’Ancora in Inglese il 20 gennaio 2015.
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