Ripensa al Natale
Compilazione
Quando nel 352 d.C. il papa Giulio I autorizzò l’uso della data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù, chi avrebbe mai pensato che sarebbe diventato quello è oggi?
Quando nel 1832 il prof. Charles Follen accese le candele sul primo albero di Natale negli Stati Uniti, chi avrebbe mai pensato che le decorazioni sarebbero diventate elaborate come oggi.
È passato molto tempo dal 1832, molto di più dal 353, e ancora di più dalla notte buia, illuminata da una stella speciale, in cui nacque il re Gesù. Tuttavia, mentre ci avviciniamo di nuovo al 25 dicembre, abbiamo ancora l’opportunità di fare una pausa; in mezzo a tutta l’eccitazione, alle decorazioni elaborate e alla commercializzazione costosa che circondano il Natale, possiamo ripensare all’avvenimento del Natale e alla persona di cui celebriamo la nascita. —Brian Harbour and James Cox[1]
La prossima volta sarà diverso
La prima volta che venne Gesù,
arrivò nascosto sotto forma di un bimbo.
Una stella segnò il suo arrivo.
Re saggi gli portarono dei regali.
Non si trovò posto per Lui
e in pochi videro la sua venuta.
La prossima volta che Gesù verrà,
sarà riconosciuto da tutti.
Il cielo s’illuminerà della sua gloria.
Porterà ricompense per i suoi fedeli.
Il mondo non sarà in grado di contenere la sua gloria.
Ogni occhio lo vedrà.
Verrà come Re e Signore, sovrano sopra tutti.
—John F. MacArthur Jr.
*
L’Essere Eterno, che conosce ogni cosa e ha creato l’intero universo, non divenne soltanto un uomo, ma un bambino, e prima ancora un feto nel corpo di una donna. —C. S. Lewis
*
Carissimo Gesù, Bambino Santo,
fatti un letto soffice e puro
dentro il mio cuore, perché sia
una stanza silenziosa dedicata a te.
Il mio cuore fa balzi di gioia,
le mie labbra non possono tacere.
Con lingua gioiosa anch’io devo cantare
l’antica e dolce ninna nanna.
Gloria a Dio nel più alto dei cieli,
che ha donato suo Figlio all’uomo!
Mentre gli angeli cantano con delizia
l’augurio di un nuovo anno a tutto il mondo.
—Martin Lutero, 1535
L’indù e il formicaio
C’era in India un uomo, membro devoto di una setta indù, che aveva un profondo senso di rispetto per la vita. Non avrebbe ucciso una formica, una mucca e nemmeno un cobra, perché, a causa delle sue credenze, sarebbe stato come uccidere un suo parente del passato.
Durante una visita in America, aveva saputo delle affermazioni di Cristo, tuttavia non era riuscito ad afferrare la verità biblica che Dio visitò realmente questo pianeta nella carne, nella persona di Gesù Cristo. Non riusciva a comprendere come il Grande Creatore, il Dio dell’universo, potesse essersi fatto uomo, né perché avrebbe dovuto farlo.
Un giorno camminava nei campi, meditando su questa nuova verità di Gesù Cristo come Dio, e si chiedeva come fosse possibile. S’imbatté in un grosso formicaio, con migliaia di piccole formiche che correvano in giro affaccendate. Rimase lì a osservare con stupore l’attività di quelle creature sorprendenti, quando improvvisamente udì il rumore forte e minaccioso di un trattore che arava i campi.
Alzando lo sguardo si accorse che il trattore sarebbe passato direttamente sul formicaio e probabilmente migliaia di formiche sarebbero rimaste uccise e la loro casa distrutta. Preso dalla stessa preoccupazione che tu ed io proveremmo per centinaia di persone intrappolate in un edifico in fiamme, s’inquietò. Voleva avvisarle della loro imminente distruzione.
“Come posso avvisarle?” pensò. “Se potessi scrivere un avvertimento sulla sabbia, non saprebbero leggerlo. Se gridassi, non mi capirebbero. L’unico modo in cui potrei comunicare con loro sarebbe se diventassi una formica”.
Improvvisamente lo Spirito di Dio gli diede una rivelazione. Capì perché Dio, il Creatore dell’universo, scelse di diventare uno di noi, un uomo, nella persona del Dio-uomo, Gesù di Nazareth.
Grazie alla sua esperienza con il formicaio, la luce penetrò nel cuore di questo indù, che comprese allora le parole di Paolo: “Egli era come Dio ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto: diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e fu considerato come uno di loro”.[2] —Bill Bright[3]
Un membro della comunità umana
Gesù rinunciò alla sua cittadinanza in cielo e, sebbene fosse ricco, divenne povero per amor nostro, affinché mediante la sua povertà noi diventassimo ricchi. Non solo dovette scendere fra noi, ma dovette diventare uno di noi! Dovette diventare un membro della comunità umana.
Arrivò come un bambino umile e quieto, debole e inerme. Non solo si adattò alla nostra forma umana, ma si conformò al modo di vivere umano. Era un essere umano. Si stancava. Aveva fame. Si sentiva sfinito. Era soggetto a tutte queste cose, proprio come noi, ma senza peccato, per avere compassione di noi, per sapere come ci sentiamo, rendersi conto di quando siamo stanchi ed esausti, sapere quando ne abbiamo avuto abbastanza.
Dio mandò Gesù a diventare un essere umano per raggiungerci meglio con il suo amore, per comunicare con noi al livello limitato della nostra comprensione umana, per avere più misericordia e pazienza con noi di quanta ne avesse Dio stesso. Pensate un po’!
“Conosce la nostra natura e si ricorda che siamo polvere”,[4] avendo assunto Lui stesso quella natura, avendo sofferto in essa ed essendo morto in essa per amor nostro. Scese al nostro livello per sollevarci al suo. Che miracolo — tutto per amor nostro! —David Brandt Berg
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 5 dicembre 2017.
[1] Brian L. Harbour, James W. Cox, The Minister’s Manual: 1994 (San Francisco: Harper Collins, 1993), 254.
[2] Filippesi 2,6–7 TILC.
[3] http://www.christianity.com/devotionals/insights-from-bill-bright/the-hindu-and-the-anthill-mar-11.html.
[4] Salmi 103,14.
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