Pregare è come usare un esplosivo
Compilazione
Il pastore norvegese del XX secolo Ole Hallesby paragona la preghiera all’estrazione mineraria come avveniva ai suoi tempi in Norvegia. Per creare tunnel minerari mediante l’uso di esplosivi si impiegavano due tipi di azione. Vi sono lunghi periodi, scrive, in cui “si fora con grandi sforzi la roccia facendo alcuni buchi profondi”. Perforare in profondità la roccia nei punti più adatti per rimuoverla in grandi quantità era un lavoro che richiedeva pazienza, regolarità e grandi abilità. Una volta terminati, nei fori veniva inserita una carica esplosiva collegata a una miccia. “Accendere la miccia e innescare la mina era non solo facile, ma anche molto interessante . […] Si ottengono dei ‘risultati’. […] Le mine esplodono e i frammenti volano in tutte le direzioni”. Conclude dicendo che, anche se il lavoro più accurato richiede abilità e una paziente forza di carattere, “chiunque può accendere una miccia”.
Il pastore Tim Keller commenta: “Questa utile illustrazione ci ammonisce a non fare soltanto preghiere che ‘accendono la miccia’, quelle che abbandoniamo se non otteniamo risultati immediati. Se crediamo nel potere della preghiera e nella saggezza di Dio, avremo una vita di preghiera paziente, fatta di ‘perforazioni’. I credenti maturi sanno che sopportare il tedio fa parte di ciò che rende efficaci le preghiere. Dobbiamo evitare gli estremi: o non chiedere niente a Dio o pensare di poter piegare la volontà divina alla nostra. Dobbiamo combinare un’importunità tenace, una ‘lotta con Dio’, con la profonda accettazione della sua saggia volontà, qualunque essa sia”. —Anonimo[1]
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Quando ripenso alla mia vita, vedo molte esperienze che hanno formato e definito ciò che sono. Una di queste è quando mi fu diagnosticato un cancro alla prostata. Non avevo mai pensato che l’etichetta di “cancro” potesse essere applicata a me – un uomo relativamente giovane con una salute eccellente ed energia in abbondanza. Tuttavia era così.
Superai senza problemi l’intervento chirurgico, ma il periodo di guarigione fu quasi un disastro. Ero esausto. Avevo paura. Ero abbattuto. Ero debole. Sarei mai riuscito a migliorare? I miei giorni migliori erano definitivamente passati?
Per molti mesi pregai che Dio mi aiutasse, mi guarisse e mi desse speranza. Una settimana dopo l’altra mi trascinai sul pulpito per tenere il mio discorso già preparato, sostenuto solo dalla persistenza in preghiera che collegava il mio cuore a quello di Dio.
Anche se vacillavo ed ero ferito da quasi ogni parte, più continuavo la mia interazione con mio Padre, più sentivo una forza divina nella mia vita. Più bussavo alle porte del cielo, chiedendo che il riposo riempisse i miei giorni di spossatezza, più scoprivo che Dio era pronto e ben disposto a caricarsi del peso che portavo.
Sì, forse le mie nocche erano sbucciate da tutto quel bussare, ma la mia anima era rinfrescata, rinvigorita e guarita. Guarita dalla disperazione, dall’ansia, dalla sofferenza e dal dolore. Ogni grammo della guarigione di cui avevo disperatamente bisogno mi fu fornito da una preghiera accorata.
Mi ha sempre incuriosito una parabola particolare, raccontata da Gesù in Luca 11, che riguarda proprio questa idea di costanza nella preghiera. In essa Gesù getta le basi per come i suoi seguaci devono rendere note a Dio le loro richieste.
Nella storia, un uomo ha la faccia tosta di presentarsi senza preavviso a casa di un suo amico – a mezzanotte, per giunta – per chiedere in prestito non un pochino di cibo, ma tre larghe pagnotte (l’equivalente del cibo di un giorno, a quei tempi). L’amico praticamente lo scarica: “Va’ via! Sto cercando di dormire!” L’uomo però non si fa scoraggiare dal rendere nota la sua richiesta disperata. Dopotutto ha la dispensa vuota e un ospite affamato che lo aspetta a casa sua. Cose deve fare? Tornare a mani vuote? Così continua a bussare. E alla fine ottiene il pane.
In Matteo 7 Gesù ci ha insegnato che quando chiederemo, ci sarà dato. Quando cercheremo, troveremo. Quando busseremo, ci sarà aperto. Questa è la tripletta allettante che mise di fronte ai suoi discepoli – e che offre anche a noi. Fai penetrare nelle tue ossa questa verità, perché è una promessa divina!
E allora non fare preghiere rare ed effimere, ma appassionate e insistenti. Se sei fedele a bussare, scoprirai che ciò di cui hai bisogno è già nelle tue mani. —Jack Graham[2]
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Un giorno George Muller cominciò a pregare per cinque suoi amici. Dopo molti mesi, uno di loro accettò il Signore. Dieci anni dopo, altri due si convertirono. Ci vollero venticinque anni prima che si salvasse il quarto. Muller perseverò in preghiera per il suo quinto amico fino alla morte. In quei cinquantadue anni non rinunciò mai a sperare che accettasse Cristo! La sua fede fu premiata, perché poco dopo il funerale di Muller anche l’ultimo fu salvato. —Anonimo[3]
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Dobbiamo essere insistenti nella nostra vita di preghiera. Ciò significa essere tenaci e risoluti nella preghiera, pregare regolarmente e continuare a farlo con fede anche se non riceviamo subito una risposta. […] Come ci viene detto nella parabola dell’amico a mezzanotte:
“Perciò vi dico: Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Poiché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e sarà aperto a chi bussa”.[4] Il chiedere, cercare e bussare in questi versetti può essere interpretato come un continuare a fare queste cose. I supplicanti sono fedeli a presentare regolarmente le loro richieste a Dio.
Allo stesso tempo, Gesù ammonì i suoi discepoli a non essere come i pagani che “usano inutili ripetizioni” e “pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole”,[5] o come gli scribi che “per mettersi in mostra, fanno lunghe preghiere”.[6] Gesù non richiede preghiere lunghe o ripetitive. L’importante è che le nostre preghiere siano una sentita comunicazione con un Padre che ci ama.
L’idea della perseveranza nella preghiera non significa cercare di stancare Dio con le nostre ripetute richieste. Dobbiamo presentargliele con fede e fiducia, sapendo che ci ama come un padre ama un figlio e che ci darà quello che gli chiediamo se è una cosa buona per noi e se rientra nella sua volontà. Detto questo, dovremmo capire che non sempre la perseveranza nella preghiera ha come risultato una risposta divina esattamente come la vogliamo.
Se le nostre preghiere non ricevono una risposta immediata, non dovremmo perdere la fede. Ci viene detto di non stancarci, di non scoraggiarci. Gesù ci spiega di continuare con fede e sicurezza, sapendo che Dio è un giudice onesto e generoso, un padre amorevole che risponderà secondo la sua volontà e al momento che ritiene giusto.
La cosa forse più importante da ricordare è che Dio ama ognuno di noi come un figlio o una figlia. Gli stanno a cuore i nostri interessi. Possiamo e dobbiamo presentarci a Lui in preghiera, con fede, fiducia e umiltà, con amore per Colui che ci ama di un amore eterno. —Peter Amsterdam
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 2 agosto 2016.
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