Praticare gentilezza e bontà
Peter Amsterdam
Quando l’apostolo Paolo scrisse a proposito di vivere una vita devota, di vivere nello Spirito Santo ed essere da questo guidati, elencò quelle che chiamava “opere della carne”, che includevano cose come inimicizia, discordia, gelosia, ira e invidia. A questo fece seguito con: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:19-23). Il frutto dello Spirito è l’opera dello Spirito Santo in noi, che ci fa crescere in devozione e somiglianza a Cristo.
In questo elenco troviamo due aspetti dello Spirito che vanno di pari passo: la gentilezza e la bontà, che sono descritte entrambe come qualità della natura divina. “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo, […] per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù” (Efesini 2:4-7). “Quando apparvero la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini, egli ci ha salvati non per mezzo di opere giuste che noi avessimo fatto, ma secondo la sua misericordia” (Tito 3:4-5).
Poiché Dio è buono e gentile e ha dimostrato la sua bontà e la sua gentilezza nei nostri confronti mediante il sacrificio e la morte di Gesù per espiare la colpa dei nostri peccati, noi, a nostra volta, dobbiamo essere gentili e buoni con gli altri. “Siate invece benigni e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonato in Cristo” (Efesini 4:32).
Ci viene detto che dobbiamo rivestirci, “come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza” (Colossesi 3:12) e che “il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti” (2 Timoteo 2:24). In 1 Corinzi 13, leggiamo anche che “l’amore è benigno”.
La parola ebraica chesed, usata 248 volte nel Vecchio Testamento, è tradotta con gentilezza, misericordia, benignità, bontà e benevolenza. Nel Nuovo Testamento, la parola greca chrēstotēs è tradotta con benignità e bontà morale. Significa tenera premura, bontà del cuore e delle azioni.
Gentilezza e bontà sono strettamente correlate e i termini sono spesso usati in modo intercambiabile. Entrambi esprimono un desiderio attivo di contribuire a soddisfare i bisogni degli altri. Jerry Bridges ha scritto:
La gentilezza è un desiderio sincero di vedere la felicità degli altri; la bontà è l’attività calcolata che favorisce quella felicità. La gentilezza è la propensione interiore, creata dallo Spirito Santo, che ci rende sensibili ai bisogni degli altri, che siano fisici, emotivi o spirituali. La bontà è la gentilezza in azione – parole e azioni.[1]
Bontà e gentilezza consistono in azioni buone che scaturiscono dall’amore, compiute con l’obiettivo di essere una benedizione per gli altri. Riflettono Gesù, che “è andato dappertutto facendo del bene […] perché Dio era con lui” (Atti 10:38).
Gentilezza e bontà non sono qualità che dimostriamo solo alle persone che amiamo, ma a tutte – anche a chi potrebbe essere visto come un oppositore o un nemico, perché facendolo imitiamo la gentilezza di Dio. Gesù lo indicò chiaramente quando disse: “Amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6:35).
L’invito rivoltoci è quello di sviluppare un carattere buono e gentile, così da essere sensibili ai problemi degli altri e disposti a compiere azioni che manifestino amore. Come scrisse l’apostolo Paolo: “Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere” (Efesini 2:10).
Come credenti, siamo nuove creature in Cristo, trasformati dallo Spirito Santo e chiamati ad andare dappertutto a fare il bene, come fece Gesù. Lui era devoto al benessere dell’umanità e mise in pratica quella devozione, amando, curando e agendo in un modo che dimostrava gentilezza, bontà e premura per gli altri. Gentilezza e bontà spesso si manifestano su larga scala quando c’è qualche tipo d’emergenza o di grande bisogno che spinge la gente, cristiani e no, ad andare in soccorso degli altri.
Molti di noi aiuterebbero in un momento di emergenza, il che è bello e buono, ma il modo in cui la Bibbia vede questo frutto dello Spirito va ben oltre. È una trasformazione — dalla nostra proclività naturale a badare a noi stessi ed essere egoisti e preoccupati per i nostri bisogni personali, a una natura più divina, influenzata dallo Spirito Santo, consapevole dei bisogni degli altri e disponibili a fare qualcosa al riguardo.
La maggior parte delle nostre opportunità di dimostrare benevolenza facendo del bene agli altri si trova nel corso delle attività quotidiane. È bene pregare regolarmente che lo Spirito Santo ci aiuti a riconoscere i bisogni degli altri e ci spinga all’azione.
Le Scritture insegnano che non dobbiamo pensare solo ai nostri interessi, ma anche a quelli degli altri (Filippesi 2:4). Ciò esige che lottiamo contro il nostro egoismo innato e agiamo risolutamente in modi che vanno contro la natura umana. La maggior parte delle cose che facciamo per diventare più simili a Cristo si scontra con la nostra natura umana. Cercare di diventare più simili a Gesù richiede un cambiamento del cuore, della mente e delle nostre azioni; ma è nel cuore che questi cambiamenti devono essere profondamente radicati.
Come sono fatte la gentilezza e la bontà? Le troviamo nelle nostre parole quando quello che diciamo agli altri ha un tocco di amore e premura per gli altri, quando ascoltiamo attentamente gli altri, dando loro la nostra piena attenzione. Le riconosciamo nelle persone che offrono le loro risorse, il loro tempo o la loro attenzione a qualcuno che ha bisogno. Significano dimostrare sincero interesse e premura per gli altri. Porgono l’altra guancia quando qualcuno ci fa un torto. Ci aiutano a trattenere la lingua quando qualcuno ci ha insultato o ferito.
Bontà e gentilezza vengono da cuori pieni di amore, compassione e misericordia. Le persone buone non spettegolano. Non tradiscono la fiducia. Dimostrano pazienza. Non sono egocentriche. Non sono impulsive o esplosive. Non parlano costantemente di sé né accentrano l’attenzione su di sé.
Come persone che cercano di imitare Cristo, abbiamo davanti a noi la sfida di dare la vita per gli altri. Questo significa dedicare del tempo a loro, come a nostra moglie, o marito, ai nostri figli e alle altre persone care, in modo che si sentano amate e preziose. Significa anche dimostrare bontà dando a chi ha bisogno, anche quando è un sacrificio; dire una parola gentile a qualcuno, anche quando siamo noi stessi in difficoltà. Ci sono tantissimi modi in cui possiamo essere buoni e gentili con gli altri.
La gentilezza si traduce in parole amorevoli e gesti premurosi. Abbiamo tutti delle opportunità di essere gentili con gli altri nel corso della giornata. Possiamo offrire una parola gentile, dare una mano, fare un atto di bontà, con l’obiettivo di agire con amore, di rendere la vita un po’ più piacevole per gli altri, riflettendo così l’amore di Gesù sugli altri.
In questo passo che parla del futuro giorno del giudizio, Gesù ci ha insegnato che Dio ha grande riguardo per chi dimostra gentilezza e cortesia: “Allora il Re dirà a coloro che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? E quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? O ignudo e ti abbiamo rivestito? E quando ti abbiamo visto infermo, o in prigione e siamo venuti a visitarti?”. E il Re, rispondendo, dirà loro: “In verità vi dico: tutte le volte che l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:34-40).
Pubblicato originariamente nell’agosto 2017.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 26 giugno 2023.
[1] Jerry Bridges, The Practice of Godliness (Colorado Springs: Navpress, 2010), 215.
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