Perduti e ritrovati
Peter Amsterdam
Nel quindicesimo capitolo del Vangelo di Luca, Gesù ci fa vedere molto bene il cuore di Dio per quel che riguarda la salvezza e la riparazione. Difende i suoi contatti con i peccatori e sfida l’atteggiamento di chi lo criticava e giudicava, raccontando tre parabole con trame molti simili: la pecora smarrita, la moneta smarrita e il figliol prodigo. Questo post prende in esame le prime due di queste parabole
La storia comincia così: “Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’”.1
I farisei e gli studiosi della legge criticavano Gesù non solo perché mangiava con i peccatori, ma anche perché li accettava. Disapprovavano che mangiasse con loro senza formalità o accettasse l’invito a pranzo nelle loro case, ma forse obiettavano ancora di più al modo in cui “li accoglieva”, nel senso che li trattava con ospitalità; è possibile che a volte li abbia accolti per un pasto. Ricevere ospiti a tavola per stare in compagnia e mangiare con loro era considerato un segno di accettazione molto speciale.2
La pecora smarrita
In risposta alle critiche espresse dagli scribi e dai farisei, Gesù difese e spiegò le sue azioni con tre parabole, la prima delle quali offre una delle immagini verbali più note della Bibbia: “Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’. Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento”.2
La difesa di Gesù inizia con la domanda: “Chi di voi, avendo cento pecore…” Anche se nel Vecchio Testamento ci sono riferimenti positivi ai pastori e Dio è chiamato il Pastore di Israele, ai tempi di Gesù i custodi di pecore venivano automaticamente classificati tra i “peccatori”, perché la loro occupazione era uno dei mestieri considerati poco raccomandabili.
Spesso i pastori erano visti come dei ladri, perché facevano pascolare le loro greggi sui terreni altrui; non potevano testimoniare in tribunale ed essenzialmente erano allo stesso infimo livello sociale degli odiati esattori delle tasse. La stessa frase d’apertura usata da Gesù era una provocazione, perché chiedeva ai capi religiosi di immaginare di essere pastori – e quindi peccatori – il che non era proprio quello che pensavano di se stessi. La domanda di Gesù è posta anche in maniera da strappare il loro consenso che ogni pastore in una situazione simile avrebbe cercato la pecora smarrita.
La pecora smarrita, anche se era solo una delle cento, era importante per il pastore. Era persa e doveva essere ritrovata; quando la trovò, il pastore ne fu felice. Ma la storia non termina qui. “E giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’”. 3
Tutta la comunità del villaggio si rallegra che il pastore che stava cercando la pecora da solo sia ritornato sano e salvo e che la pecora sia stata ritrovata incolume. La frase greca utilizzata per esprimere che “chiama i vicini e gli amici” viene a volte usata per descrivere l’invito a una festa. È possibile che parte della festa comunitaria consistesse in un pasto insieme. Trovare e recuperare quello che era perduto è motivo di gioia!
Gesù termina la storia dicendo: “Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento”. 4 Gesù indica enfaticamente che Dio prova molta gioia quando qualcuno giunge alla salvezza. “Più gioia in cielo” sarebbe stato compreso come se avesse detto che “Dio si rallegra enormemente” per il peccatore che si pente.
Rispondendo alle critiche sui suoi rapporti affettuosi con i peccatori, Gesù traccia un’immagine verbale che indica l’amore di suo Padre per tutti quelli che hanno bisogno di salvezza, chiunque essi siano e a qualunque classe sociale appartengano. L’atteggiamento dei farisei, che si lamentavano che Gesù stesse in compagnia di peccatori, si dimostra contrario alla natura e al carattere di Dio. Invece di cercare le pecore smarrite, i farisei favorivano la propria separazione dai peccatori perduti.
Questa parabola, come molte altre, è presentata nel formato di “dal più piccolo al più grande”: se l’umile pastore è disposto a cercare la pecora smarrita e riportarla a casa, tanto più Dio cercherà e salverà i suoi figli smarriti.
La dramma perduta
La parabola della dramma perduta è un’altra riflessione sulla domanda che Gesù aveva fatto nella prima parabola, solo che questa volta il personaggio principale è una donna. Nella Palestina del primo secolo le donne erano considerate inferiori agli uomini. Gesù apre entrambe le storie con un’affermazione dall’effetto sconcertante, usando come protagonisti persone alle quali i suoi ascoltatori si ritenevano superiori.
“Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova? Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta’. Così, vi dico, v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede”.5
La maggior parte dei villaggi contadini di quell’epoca era praticamente autosufficiente; tessevano le loro stoffe e coltivavano il loro cibo. I soldi erano cosa rara e per questa donna lo smarrimento della moneta rappresentava una perdita importante. Notiamo l’enormità di questa perdita quando la confrontiamo con la prima parabola, in cui una sola pecora su cento si era smarrita. Qui vediamo una moneta su dieci.
In Palestina, in genere le case povere avevano solo una porta e forse alcune pietre mancanti in cima alle pareti vicino al soffitto per dare ventilazione, quindi c’era poca luce naturale.11 Possiamo solo immaginare l’ansia della ricerca, lo spazzare attentamente ogni luogo in cui poteva trovarsi la moneta, spostare i mobili e passare e ripassare la scopa fino a trovarla. In questa parabola l’attenzione è sull’accuratezza della sua ricerca.
Una volta trovatala, chiama amiche e vicine per rallegrarsi con loro per la moneta perduta e ritrovata. La frase “rallegratevi con me” fa eco alle stesse parole dette dal pastore ai suoi vicini. La donna, come il pastore, invita amiche e vicine a partecipare alla sua gioia per aver trovato quello che aveva perso.
Gesù poi ripete la frase usata nella prima parabola, dicendo: “Così vi dico”, o come in altre traduzioni: “Allo stesso modo vi dico”. È una frase usata in tutti e quattro i Vangeli quando Gesù afferma qualcosa con autorità; nel Vangelo di Luca è usata quarantacinque volte. In questo caso la usa per dichiarare: “V’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede”.12 “Gioia davanti agli angeli”, o “gioia alla presenza degli angeli”, corrisponde alla “gioia in cielo” descritta nella prima parabola, che esprime la gioia di Dio per aver trovato chi era perduto.
La donna che cerca la dracma è un’analogia dell’accuratezza e dell’impegno di Dio nel cercare chi è perduto. Se una donna che perde la sua moneta e la cerca così attentamente gioisce così tanto quando la trova, tanto più Dio cercherà chi è smarrito e si rallegrerà quando l’avrà ritrovato.
Queste parabole chiariscono il punto di vista divino sulla redenzione e reintegrazione. Diversamente dagli scribi e dai farisei che criticavano Gesù per le persone con cui si accompagnava, Dio cerca di salvare chi è perduto. Non presta attenzione alle loro condizioni sociali, alla loro ricchezza o provenienza, o al fatto che siano religiose o no. Le cerca perché sono perdute e vanno ritrovate. Le cerca perché le ama, si preoccupa per loro e vuole riportarle a Sé.
Dio, mediante il suo Spirito, non solo fa uno sforzo per trovare i perduti, ma li salva anche, come vediamo dal sacrifico e dalla fatica del pastore nel portare in spalla la pecora e riunirla al gregge. Possiamo paragonare quell’impresa piena di sacrifici al fatto che Gesù diede la vita per noi, salvandoci e restituendoci al Padre. E quando questo succede, Dio si rallegra enormemente!
Quando Dio cerca le anime smarrite, spesso siamo noi gli strumenti che usa nella ricerca. Uno dei nostri compiti di cristiani è portare il Vangelo a chi ne ha bisogno. Ci rendiamo disponibili al Signore quando mette qualcuno sulla nostra strada? Teniamo gli occhi aperti per scoprire a chi ci sta indirizzando? E quando siamo faccia a faccia con chi ha bisogno dell’amore e della verità di Dio, facciamo i passi necessari per testimoniare a quella persona ed esprimere il messaggio divino?
Siamo disposti a essere amichevoli, a mostrare l’amore di Dio a tutti, compresi gli oppressi, i tipi duri e le persone che nella società moderna sono emarginate e disprezzate? Siamo disposti a socializzare con i perduti per mostrare loro l’amore incondizionato di Dio e la salvezza?
Possa ognuno di noi emulare la natura e il carattere di Dio nei nostri rapporti con le persone che hanno bisogno del suo amore e della sua salvezza.
Pubblicato originariamente nell’ottobre 2014.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 20 agosto 2020.
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