La somiglianza a Cristo
Peter Amsterdam
Il fondamento della somiglianza a Cristo è una devozione incentrata su Dio, con il giusto atteggiamento personale nei suoi confronti, e riconoscendo chi Lui è e che posizione abbiamo noi rispetto a Lui, cose che includono tre elementi: il timore di Dio, l’amore di Dio e il desiderio di Dio.
Timore di Dio
Le Scritture usano la frase “timore di Dio” in due modi distinti: 1) come paura apprensiva; 2) come venerazione, ossequio e soggezione. Il timore come paura apprensiva è prodotto dalla consapevolezza del giudizio divino che incombe sul peccato, come quando Adamo si nascose da Dio dopo aver peccato, perché aveva paura.1 I Cristiani comunque, non sono più sottoposti all’ira di Dio e quindi l’elemento di paura di una separazione eterna da Dio è stato eliminato. Ovviamente possiamo lo stesso essere puniti da Dio per i nostri peccati e potremmo aver timore della punizione, ma non dobbiamo avere paura della sua ira.
Per i credenti, il significato principale del timore di Dio è quello di venerazione e onore, soggezione o timore reverenziale. Jerry Bridges scrive: “Si tratta di un atteggiamento che suscita nel nostro cuore adorazione e amore, venerazione e onore. Non concentra l’attenzione sull’ira di Dio ma sulla sua maestà, la sua santità e la sua gloria trascendente”.2
Leggiamo, per esempio, che alla presenza di Dio Isaia fu sopraffatto dalla sua gloria e dalla sua maestà. La sua reazione dimostrò come fosse preso da timore reverenziale davanti a una simile purezza e santità: “Sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; eppure i miei occhi hanno visto il Re, l’Eterno degli eserciti”.3
Descrivendo come aveva visto Gesù in cielo, l’apostolo Giovanni scrisse: “Io mi voltai per vedere la voce che aveva parlato con me. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendomi: ‘Non temere!’”4 Queste erano reazioni dovute a un senso profondo di venerazione, onore e stupore.
Spesso ci focalizziamo sull’amore, sulla misericordia e sulla grazia di Dio, mentre prestiamo meno attenzione alla sua grandiosità, maestà, santità e potenza. Sono tutte qualità divine, però, e a volte nei nostri cuori c’è una sana tensione fra le due cose. Gesù disse ai suoi discepoli di rivolgersi a Dio come Padre, cosa che indica un rapporto personale stretto. Allo stesso tempo, è giusto riconoscere la grandiosa meraviglia, la maestà e la gloria di Dio. Ed è questo aspetto del nostro rapporto con Lui che viene espresso quando proviamo il timore di Dio. Vediamo questo timore reverenziale manifestato sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento.
Parte del nostro rapporto con il Signore è il “temerlo”, nel senso di venerarlo, offrirgli reverenza, onore, ammirazione e adorazione. Temere Dio significa anche confessare la sua unicità assoluta, riconoscere la sua maestà, santità, gloria, maestosità e potenza. Quando includiamo queste cose nel nostro modo di vedere Dio, siamo indotti a ubbidire la sua Parola, riconoscendo che ognuno dei nostri peccati è un affronto alla sua dignità e alla sua maestà. La nostra reverenza nei confronti di Dio influenzerà il nostro comportamento e regolerà la nostra condotta.
L’amore di Dio
Il secondo elemento di un giusto atteggiamento nei confronti di Dio è la comprensione e l’accettazione del suo amore per noi. Poiché Dio è perfetta santità, deve tenersi separato dal peccato; e poiché noi, come esseri umani, siamo peccatori, c’è una separazione tra Dio e l’umanità. Comunque, attraverso la morte di Gesù sulla croce, quella separazione è stata superata. Nella prima lettera di Giovanni, leggiamo che Dio è amore; Giovanni continua spiegando che Dio ci dimostrò il suo amore mandandoci suo Figlio come propiziazione per i nostri peccati – perché fosse il sacrificio che consentiva di perdonarli e di ripristinare il nostro rapporto con Dio.
“In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi, che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi e ha mandato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati”.5
Come Cristiani comprendiamo che, senza l’amore di Dio manifestato nel sacrificio di Gesù, saremmo soggetti alla sua ira. Grazie al suo amore per l’umanità, Dio ci rese possibile evitare il castigo che a causa della sua purezza e santità avrebbe dovuto infliggerci per il peccato. Lo fece mediante l’incarnazione, la vita, la morte e la risurrezione di Gesù. Ci riscattò dalla punizione per i nostri peccati. Ovviamente vediamo l’amore di Dio manifestarsi in molti modi – nel mondo bellissimo in cui viviamo, nella sua creazione, nella sua provvidenza, nelle nostre famiglie, nei nostri amici e in tantissimi altri modi. Ma il modo principale in cui facciamo esperienza del suo amore è accettando il sacrificio da Lui fatto per ripristinare la nostra comunione con Lui: l’immolazione e la morte di Gesù.
Volendo essere più simili a Gesù, vediamo la salvezza come una cosa che Dio ha messo a disposizione non solo dell’umanità, ma di ognuno di noi. Quando leggiamo che Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna,6 ne interpretiamo il significato come se dicesse che “Dio ama me personalmente”. Questa consapevolezza dell’amore personale di Dio per noi, del suo perdono per i nostri peccati, del ripristino della nostra comunione personale con Lui, è alla base del nostro crescere a somiglianza di Cristo.
La cosa bella dell’amore e del perdono divino è che sono un’opera della grazia; si basano esclusivamente su ciò che fece Gesù e ci sono offerti in dono per amore. Il suo amore per noi non può cambiare, perché si basa sulla grazia e non sulle nostre opere. Il suo amore è incondizionato; non importa quanti alti e bassi spirituali abbiamo, quanti peccati, fallimenti o momenti di scoraggiamento abbiamo; possiamo avere la certezza che Dio continua ad amarci. È importante capire che le nostre mancanze spirituali non hanno alcuna influenza sull’amore che Dio prova per noi. Siamo accettati nella famiglia di Dio e siamo amati da Lui come suoi figli, per il solo motivo che siamo uniti a suo Figlio mediante la salvezza. Niente ci separerà da Dio e dal suo amore.
“Infatti io sono persuaso che né morte né vita né angeli né principati né potenze né cose presenti né cose future, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore”.7
Questa consapevolezza e questa fiducia nell’amore incondizionato di Dio per noi dovrebbe spingerci a una devozione più profonda nei suoi confronti, spingendoci ad allinearci con Lui – mente, corpo, anima e spirito.
Il desiderio di Dio
Vediamo il nostro desiderio di Dio in ciò che scrisse Davide: “Una cosa ho chiesto all’Eterno e quella cerco: di dimorare nella casa dell’Eterno tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza dell’Eterno e ammirare il suo tempio”.8
Poiché Dio è spirito, Davide non contemplava la bellezza fisica di Dio, ma le sue qualità. A causa di quello che Dio è, a causa del suo amore per noi, desideriamo avere comunione con Lui. Come Enoc e Noè vogliamo “camminare con Dio”.9 Desideriamo “abitare nella casa dell’Eterno tutti i giorni della nostra vita”,10 desideriamo vivere in Lui e che Lui viva in noi.11
Il nostro desiderio di Dio è più del servirlo e tenerci occupati lavorando per Lui; è più della preghiera o della lettura della Bibbia, anche se queste cose ne fanno parte. Desiderare il Signore vuol dire bramarlo, bramare la sua compagnia e la sua presenza nella nostra vita. Vediamo l’apice della nostra futura comunione con Dio nella descrizione della nuova Gerusalemme, quando abiterà con il suo popolo sulla terra.
E io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che “scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal cielo, che diceva: ‘Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio’”.12
L’invito che Gesù rivolse a una delle chiese nell’Apocalisse è lo stesso invito rivolto a noi oggi: “Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ode la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me”.13
Condividere un pasto con una persona voleva dire avere un rapporto d’amicizia con lei. Il nostro desiderio di Dio include il volere un rapporto di amicizia e compagnia con Lui, il conoscerlo e amarlo più profondamente. Quando passiamo tempo alla sua presenza, diffondiamo sugli altri le sue stesse qualità: amore, gentilezza, calore e misericordia.
La nostra venerazione e il nostro timore reverenziale nei confronti del Signore, la nostra consapevolezza del suo profondo amore per noi e il nostro intenso desiderio di Lui creano in noi una devozione nei confronti di Dio, che è il fondamento per diventare simili a Lui.
Pubblicato originariamente nel novembre 2016.
Adatto e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 23 settembre 2021.
1 Genesi 39–10.
2 Questo articolo si basa su punti presi da The Practice of Godliness (Colorado Springs, NavPress, 2010), di Jerry Bridges.
3 Isaia 6,5.
4 Apocalisse 1,12, 17.
5 1 Giovanni 4,9–10.
6 Giovanni 3,16.
7 Romani 8,38–39.
8 Salmi 27,4.
9 Genesi 5,21–24; 6,9 NR.
10 Salmi 23,6.
11 Giovanni 15,4.
12 Apocalisse 21,2–3.
13 Apocalisse 3,20.
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