La presenza divina: passata, presente e futura
Compilazione
Israele fu fondato con la necessità di vivere in tre dimensioni del tempo: passato, presente e futuro. Ricevettero l’ordine di ricordare le parole e le gesta potenti di Dio nella storia. Dovevano vedere la vita come una benedizione presente, rispondendo con fede e giustizia al Dio che l’aveva data. E dovevano vivere riponendo speranza nelle buone mani di Dio, così che né la morte né il futuro potevano costituire una minaccia.
Ma Israele se ne dimenticò. Trascurando la sua eredità, il popolo si allontanò. Seguì altri amori e s’innamoro delle nazioni circostanti. Israele dimenticò la sua suprema chiamata e le conseguenze furono tragiche.
Il profeta Abacuc ne fu comprensibilmente addolorato. Incapace di capire ciò che stava succedendo alla sua comunità, il profeta passò attraverso vari stadi di depressione, rabbia, accettazione e fede. I capitoli del suo libro vanno dal chiedersi perché all’esprimere disperazione o gridare la sua rabbia e alla fine, sorprendentemente, a cantare: “Anche se il fico non fiorirà e non ci sarà alcun frutto sulle viti, anche se il lavoro dell’ulivo sarà deludente e i campi non daranno più cibo, anche se le greggi scompariranno dagli ovili e non ci saranno più buoi nelle stalle, esulterò nell’Eterno e mi rallegrerò nel Dio della mia salvezza”.1
Credo che nella vita ci siano momenti in cui ci troviamo su un percorso simile. Anche se potremmo ritrovarci bloccati in uno dei vari stadi, dobbiamo ricordare il coinvolgimento di Dio nel nostro passato, nel nostro presente e nel nostro futuro. Tra le pagine in cui Abacuc invoca la risposta di Dio e quelle in cui cade in un misto di paura e di fede, impariamo qualcosa sull’ambiguità, la tensione e la lotta che rimangono con noi fino alla fine del percorso. […]
In ognuno dei resoconti evangelici, la passione di Cristo, la sua lotta nell’orto di Getsemani, il suo processo e la sua tortura costituiscono gran parte del racconto. Il vangelo non è il vangelo senza questa parte specifica della storia: la morte di Cristo, con tutto ciò che la circonda. Fu una morta densa di significato, una morte volontaria, una morte finalizzata a uno scopo. In Cristo, Dio stava riconciliando il mondo con Sé.
Se questo è vero, se successe realmente, se davvero il tempo normale fu interrotto da un’invasione del Dio guaritore, amorevole, pronto al perdono e al sacrificio di Sé, allora il tempo stesso fu alterato, la storia cambiò, la vita prese una direzione nuova.
Certamente, se questo è il caso, bisogna dedicare del tempo e dello spazio serio e preciso a ricordare l’opera di Dio nella storia e nella nostra vita. In un mondo dal ritmo affrettato e concentrato sul presente, questo è il messaggio controculturale che la chiesa dà al mondo. Le Scritture ci ricordano che la crocifissione di Gesù avvenne nello spazio–tempo reale e quindi tutto il tempo — passato, presente e futuro — è importante e ne è contemporaneamente influenzato. Così, i nostri gesti di rimembranza, culto, penitenza e speranza sono anche momenti sacri, momenti che invitano un Dio eterno a far passare in secondo piano le immediatezze della vita e le altre storie minori del tempo. Grandi cose sono sicuramente a nostra disposizione: l’amore di Dio, la morte sacrificale di Gesù per il mondo, il perdono dei peccati e l’offerta di una vita nuova. —Stuart McAllister2
Il proposito divino nella storia
La Bibbia dice che il mondo ebbe un principio e che nel principio ebbe inizio un’azione, un movimento guidato dalla provvidenza divina verso un telos finale, un apice conclusivo di proposito, obiettivo o meta. Questo proposito, o telos, della storia è allo stesso tempo personale e cosmico. Ogni individuo si muove dalla nascita alla morte, da un principio a una fine che dopo la morte continua nei secoli. Similmente il mondo stesso guarda in avanti verso un futuro che è stato preordinato dal suo Creatore. […]
Come persone che vivono nel presente, con un passato di cui siamo coscienti e un futuro che non ci è interamente noto con chiarezza, abbiamo tuttavia le promesse del futuro esposte da Dio nella sua Parola come ancora della nostra anima. La Bibbia parla della nostra fiducia nel futuro come di un’idea di “speranza”. Nelle categorizzazioni bibliche la speranza non indica un desiderio irrealizzato che vorremmo vedere concretizzato. La nostra speranza, invece, è ciò che appoggia su una conclusione certa nel futuro che Dio ha promesso per il suo popolo. Qui la speranza è descritta con la metafora dell’ancora: l’ancora dell’anima.3 Un’ancora non è un oggetto tenue o effimero. Ha peso, ha solidità ed è ciò che offre sicurezza a una nave ormeggiata in acque aperte. Similmente, noi conduciamo la nostra vita in mezzo a onde che s’infrangono contro di noi, ma non siamo privi di ancora e sballottati di qua e di là. La nostra ancora è la promessa divina del futuro che ha preparato per il suo popolo.
È facile preoccuparsi del futuro tanto da dimenticare il passato e quasi ignorare la realtà meravigliosa che Dio ha già realizzato per il suo popolo nella storia. La storia è l’ambito dell’incarnazione, della redenzione, della risurrezione e dell’ascensione di Cristo. Non possiamo comprendere la nostra speranza per il futuro senza comprendere le cose che Dio ha già fatto nel suo piano di redenzione. Allo stesso tempo, non dobbiamo essere così assorbiti dal passato e dal presente da dimenticare la speranza che Dio ci ha posto davanti nel futuro. Così, il modo in cui viviamo oggi è in gran parte determinato da come comprendiamo il passato e da ciò che comprendiamo del futuro. È perché Dio è un Dio della storia, un Dio di un proposito, un Dio di un telos, che il presente ha un significato eterno. È perché Dio è il Signore della storia, che il presente conta per l’eternità. —R. C. Sproul4
Raccontare la storia
A volte ci rassegniamo alle situazioni e alle circostanze perché sentiamo che non esistono speranze di cambiamento, che le cose sono quel che sono e dobbiamo semplicemente sopportarle. Dio, però, vuole cambiare le cose, soffiare una vita nuova in cuori, situazioni o rapporti che potrebbero essere o sembrare “morti”. Forse ti trovi in una situazione che sembra fuori controllo o priva di speranza, ma nessuna d’esse sfugge al controllo di Gesù; il suo potere è illimitato. Quando Gesù era sulla terra, faceva regolarmente l’impossibile. Moltiplicava i pani e i pesci, camminava sull’acqua, guariva i paralitici e dava a vista ai ciechi. Anche i morti ritornarono in vita.
Il fatto che Gesù sia venuto sulla terra, sia morto sulla croce e sia risorto ha cambiato per sempre il corso della storia. Queste azioni hanno dato a ognuno di noi l’opportunità di ricevere Gesù ed entrare a far parte della famiglia di Dio. Dovremmo essere impressionati da quant’è meraviglioso il dono della salvezza e dovremmo sentirci obbligati a condividerlo con più gente possibile. È il dono più meraviglioso che si possa ricevere e noi che abbiamo avuto la benedizione di riceverlo dovremmo sentirci spinti a condividerlo con gli altri.
È facile essere occupati con le nostre responsabilità e con gli impegni di tutti i giorni, e finire per pensare che non ci rimane il tempo di essere uno degli ambasciatori di Dio. Ma è veramente così, o è solo questione di priorità? Se pensiamo attentamente alla vastità e al significato del dono inestimabile che Dio ci ha fatto, dovremmo sentirci motivati a condividerlo regolarmente con gli altri.
Il fatto che Gesù abbia detto ai suoi discepoli di predicare il Vangelo in tutto il mondo a tutte le creature ci informa che Lui vuole che ogni uomo, donna e bambino abbia l’opportunità di far parte della sua famiglia, di salvarsi dai propri peccati e ricevere il suo perdono e la sua riconciliazione. Noi che abbiamo già ricevuto il suo dono meraviglioso, che sappiamo cosa vuol dire vivere nella famiglia di Dio, essere perdonati per i nostri peccati e avere dentro di noi lo Spirito di Dio, dovremmo sentirci obbligati a parlare del Vangelo a chi sta ancora cercando la verità. —Peter Amsterdam
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 21 aprile 2020.
1 Abacuc 3,17–18.
2 https://www.rzim.org/read/just-thinking-magazine/life-redirected.
3 Ebrei 6,13–20.
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