La legge e i profeti (parte 2)
Peter Amsterdam
Quando Gesù disse: “Voi avete udito che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere’; e: ‘Chiunque ucciderà, sarà sottoposto al giudizio’” (Matteo 5:21), si riferiva a vari versetti del Vecchio Testamento riguardanti l’omicidio, le procedure per stabilire la colpa e la pena.1 La Legge mosaica diceva chiaramente di non commettere omicidio, ma Gesù c’insegnò a guardare più a fondo di ciò che era prescritto dalla Legge, per vedere ciò che stava dietro a quell’azione. «Ma io vi dico: Chiunque si adira contro suo fratello [senza motivo], sarà sottoposto al giudizio; e chi avrà detto al proprio fratello: “Raca”, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: “Stolto”, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» (Matteo 5:22).
Il principio insegnato da Gesù è che commettere omicidio è la manifestazione esteriore di un atteggiamento interiore. Parla di ira e insulti, affermando che chi umilia gli altri con parole ingiuriose sarà giudicato da Dio. L’omicidio è un gesto che nasce dalle intenzioni del cuore di una persona. In genere è preceduto da sentimenti d’odio, rabbia o disprezzo.
Gesù indica che una persona potrebbe ritenersi perfettamente a posto davanti a Dio perché non ha commesso omicidio, ma per comprendere e interpretare correttamente il significato di questo comandamento bisogna andare alla radice e vederne le intenzioni. In questo modo Lui mette gli ascoltatori davanti a domande come: siete mai stati ingiustamente arrabbiati con qualcuno? L’avete odiato o disprezzato? L’avete insultato o calunniato? Avete mai desiderato che fosse morto? Se la risposta è sì, allora sono colpevoli di aver peccato contro Dio e gli altri, anche se non si sono spinti fino a uccidere davvero qualcuno. Il punto che vuole evidenziare è che non basta semplicemente ubbidire al codice scritto della Legge; anche quello che c’è nel cuore e nella mente conta.
Il secondo esempio dato da Gesù nel Sermone sul Monte prende in esame la purezza del cuore e del pensiero. Gesù comincia con il ripetere ciò che dicono le Scritture, poi introduce altri insegnamenti sull’argomento. «Voi avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Matteo 5:27-28).
Chi ascoltava Gesù durante il suo Sermone sul Monte, sapeva che l’adulterio era proibito dal settimo dei Dieci Comandamenti (Esodo 20:14). Proprio come in precedenza aveva citato il sesto comandamento sul non uccidere, qui cita il settimo comandamento, confermando che l’adulterio è sbagliato ed è un peccato; ma si spinge oltre, indicando il pericolo di uno sguardo lussurioso e di ciò a cui può portare. Invece di limitarsi a proibire l’atto esterno, Gesù scava nello stato interiore del cuore che può portare all’azione peccaminosa.2
Gesù collegava il settimo comandamento al decimo, che sice: “Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo” (Esodo 20:17). La Septuaginta (versione greca del Vecchio Testamento ebraico) usa lo stesso termine per bramare, concupire e desiderare carnalmente. Un uomo non deve desiderare o concupire la moglie di un altro.
Contrariamente all’atteggiamento dei farisei, che si concentravano sul rispetto letterale della Legge, Gesù indicava che trattenersi dall’atto dell’adulterio non rendeva uno giusto davanti a Dio. Proprio come l’ira poteva essere omicidio nel cuore, così il guardare un membro dell’altro sesso con l’intenzione di un atto sessuale illecito poteva essere considerato adulterio nel cuore.
Come Gesù insegnò nel Sermone sul Monte, la vita nel regno di Dio non è solo l’osservanza delle regole; è l’impegnarsi nella trasformazione del cuore, degli atteggiamenti, dei pensieri e delle azioni portandoli in linea con la Parola e la volontà di Dio. Gesù proseguì dicendo: “Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo” (Matteo 5:29-30).
Con un linguaggio iperbolico esagerato, Gesù voleva indicare qui l’importanza di evitare la tentazione di peccare. Gesù non suggeriva di cavare letteralmente gli occhi a una persona o di tagliarle una mano (o un piede). Diceva che se il tuo occhio ti spinge a peccare perché la tentazione arriva attraverso gli occhi (ciò che vedi) o attraverso le mani (le cose che fai), dovresti comportarti come se te li avessero tagliati o strappati. Se l’occhio ti fa peccare, non guardare; se il piede ti spinge al peccato, non andare; se la mano ti fa peccare, non farlo.
La frase ti fa cadere in peccato è tradotta anche con ti è occasione di scandalo (CEI) e ti è occasione di peccato (LND). Viene dal greco skandalizō, usato diverse volte nel Vangelo di Matteo per denotare qualcosa di disastroso, un ostacolo che devia una persona dal sentiero della volontà divina e dalla salvezza, e anche una persona o una cosa che ostacola il proposito salvifico di Dio.3
Anche se siamo salvati dal sacrificio di Gesù per noi, il peccato è sempre una cosa grave, perché danneggia il nostro rapporto con Dio. Come cittadini dei regno di Dio, come suoi figli, dovremmo impegnarci a non peccare. Ovviamente è impossibile per noi evitare sempre di peccare, ma se ci ritroviamo a soccombere regolarmente al peccato, siamo in una posizione pericolosa – a rischio di allontanarci da Dio.
In che modo un occhio, una mano o un piede possano far cadere qualcuno nel peccato dipende da persona a persona. Non tutti siamo tentati al peccato nello stesso modo. Per esempio, l’occhio di qualcuno potrebbe portarlo alla pornografia; quello di un altro invece potrebbe causargli invidia e risentimento nel vedere ciò che altri hanno. Ognuno di noi deve guardarsi dal peccato nella sua vita; il modo in cui può insorgere sarà diverso per ognuno. Dobbiamo essere consapevoli dei modi in cui siamo personalmente tentati di peccare e fare il possibile per contrastarli.
Per ubbidire a questo comandamento di Gesù, potremmo essere costretti a “cavare” o “tagliare” un po’ qua e là. Forse dovremo eliminare dalla nostra vita alcune cose che, anche se potrebbero essere innocenti di per sé, sono fonti di tentazione, o potrebbero diventarlo. Ciò potrebbe includere i nostri rapporti con persone che tendono a condurci al peccato.4
Come disse Gesù, è meglio passare questa vita con alcune cose “cavate” o “tagliate” e rinunciare ad alcune esperienze, per essere fedeli agli insegnamenti di Gesù e vivere come cittadini del regno di Dio. Sapere che Gesù ha detto che sarebbe meglio condurre una vita “cavando” o “tagliando” queste cose piuttosto che indulgere in esse, dovrebbe farci riflettere e pregare su ciò che permettiamo o invitiamo a entrare nella nostra vita e che non è in linea con la sua natura, il suo carattere, la sua volontà e la sua Parola; e dovremmo agire in maniera decisa per rimuoverlo.
L’essenza del messaggio di Gesù in questo passo del Sermone sul Monte è che compiacere Dio non significa soltanto osservare le regole, come enfatizzavano i farisei. Ciò che Dio invece desidera è un ricablaggio dei motivi e degli intenti del nostro cuore. Gesù usa questi esempi per aiutarci, in quanto membri del regno di Dio, a imparare a diventare creature nuove ben decise a vivere lo scopo degli insegnamenti delle Scritture.
Pubblicato originariamente nel gennaio 2016.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 22 aprile 2024.
1 Vedi Esodo 20:13, Numeri 35:30–34, Deuteronomio 17:7–13, 19:1–13.
2 Leon Morris, The Gospel According to Matthew (Grand Rapids: Eerdmans, 1992), 117.
3 R. T. France, The Gospel of Matthew (Grand Rapids: Eerdmans, 2007), 205.
4 John R. W. Stott, The Message of the Sermon on the Mount (Downers Grove: InterVarsity Press, 1978), 91.
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