Gli effetti del cristianesimo:
la condizione delle donne
Peter Amsterdam
Uno dei profondi effetti che il cristianesimo ha avuto sul corso della storia dell’umanità, a partire dalla morte e risurrezione di Gesù, è la dignità e lo stato sociale delle donne.1
Sotto il governo dell’Impero Romano, le donne erano sottoposte alla legge della patria potestas, secondo la quale il maschio capofamiglia aveva autorità assoluta sopra i figli, anche adulti. Le donne sposate rimanevano sotto l’autorità del padre, a meno che il matrimonio fosse con manus; ciò voleva dire che la donna cessava di essere sotto l’autorità del padre e passava sotto il controllo del marito. In casi simili, il marito poteva punire fisicamente la moglie, anche da un punto di vista legale, e se lei commetteva adulterio, poteva ucciderla. Un matrimonio con manus dava al marito autorità assoluta sulla moglie, tanto che lei aveva uno stato legale paragonabile a quello di una figlia adottiva.
Le donne non potevano parlare in pubblico. Tutte le posizioni d’autorità, come i consigli cittadini, il senato e i tribunali, erano aperti solo agli uomini. Se le donne avevano questioni o lamentele legali, dovevano presentarle tramite il marito o il padre, che avrebbe presentato la questione alle autorità pertinenti a nome della donna, perché le donne dovevano restare in silenzio su simili argomenti. In generale le donne erano tenute in bassa considerazione.
Anche nella cultura ebraica del periodo rabbinico (dal 400 a.C. al 300 d.C.) c’erano forti pregiudizi contro le donne. Non era consentito loro di testimoniare nei tribunali, perché erano considerate testimoni inaffidabili. Era anche vietato loro di parlare in pubblico. Non potevano leggere la Torà ad alta voce nelle sinagoghe. Il culto nella sinagoga era condotto da uomini e le donne presenti erano separate dagli uomini mediante un divisorio.
Alcune donne ebree erano confinate alla loro casa e le donne giovani rimanevano in parti della casa indicate specificamente come alloggi femminili, per evitare di essere viste dagli uomini. Le donne sposate nelle zone rurali avevano maggiori libertà di movimento perché aiutavano i mariti nei campi. In ogni caso era proibito loro lavorare o viaggiare da sole. Qualsiasi reddito una donna sposata ricevesse, comprese le eventuali eredità, appartenevano al marito.
Nei Vangeli scopriamo che nei confronti delle donne Gesù aveva un atteggiamento molto diverso da quello che era consueto in quei giorni, un atteggiamento che migliorava il loro stato sociale. Con i suoi insegnamenti e le sue azioni respinse le idee e le pratiche comuni che implicavano che le donne fossero inferiori agli uomini. Ne è un esempio la sua interazione con la Samaritana, nel Vangelo di Giovanni. A quei tempi gli Ebrei non avevano nessun rapporto con i Samaritani, tuttavia Gesù le chiese di dargli da bere dal pozzo. Lei rimase sorpresa e si chiese come mai Lui le chiedesse di dargli da bere, perché “i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani” (Giovanni 4:7-9) Gesù non solo ignorò il fatto che fosse una samaritana, ma parlò in pubblico con una donna, cosa che contravveniva alla legge orale (l’insieme di leggi religiose ebraiche aggiunte nel corso dei secoli).
I Vangeli di Matteo, Marco e Luca raccontano tutti che alcune donne seguivano Gesù, cosa molto insolita a quei tempi, perché altri insegnanti e rabbini ebraici non avevano discepole: “[Alla sua crocifissione] vi erano pure delle donne che guardavano da lontano; fra di esse vi erano Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo il minore e di Iose e Salome, che lo seguivano e lo servivano quando era in Galilea; e ce n’erano molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Marco 15:40-41; vedi anche Luca 8:1-3).
Dopo la sua risurrezione, Gesù apparve prima ad alcune donne e le incaricò di andare a dire al resto dei suoi discepoli che era risorto (Matteo 28:1-10).
La prima chiesa seguì il precedente fissato da Gesù e ignorò le norme culturali riguardanti le donne. Queste ebbero un ruolo importante nella chiesa, come vediamo nelle epistole di Paolo, secondo le quali avevano chiese nelle loro case. Nella lettera a Filemone, Paolo si rivolse “alla cara Apfia, ad Archippo, nostro compagno d’armi, e alla chiesa che è in casa tua” (Filemone 1:1-2). Ninfa era una donna che aveva una chiesa in casa sua a Laodicea (Colossesi 4:15). Paolo si riferì anche a Prisca, o Priscilla, e a suo marito Aquila, che avevano anch’essi una chiesa nella loro casa, come a “miei collaboratori in Cristo Gesù” (Romani 16:3).
Nella lettera ai Romani, Paolo scrisse: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa che è in Cencrea” (Romani 16:1). Il termine greco qui tradotto con diaconessa è diakonos, che nelle Epistole a volte è tradotta con diacono, diaconessa e altre volte con ministro o anche servitore. Nelle epistole, Paolo si riferisce molte volte a se stesso come diakonos, oltre che ai suoi collaboratori e co-leader (Efesini 3:7; Colossesi 1:7). Così, quando elogiò Febe come diakonos della chiesa, sembra che la volesse riconoscere come diaconessa o ministro all’interno della chiesa.
Paolo indicò chiaramente che nel cristianesimo “non c’è né Giudeo né Greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28). Gesù, Paolo e la prima chiesa si opposero al concetto di mantenere le donne isolate, silenziose, remissive e segregate nel culto e nel ministero.
Il messaggio di salvezza di Gesù incontrò il favore delle donne nella prima chiesa, al punto che gli storici che hanno studiato quel periodo sostengono che in genere le donne erano più attive degli uomini nelle chiese.
Il tedesco Leopold Zscharnack, teologo e storico della chiesa, scrisse: “Il cristianesimo non osi dimenticare che fu principalmente il genere femminile a causare per la maggior parte la sua rapida crescita. Fu lo zelo evangelista delle donne, nei primi anni della chiesa e in quelli successivi, a conquistare i deboli e i potenti”.2
Nei primi centocinquanta anni del cristianesimo, le donne erano ben considerate e molto importanti per la chiesa. Purtroppo, dopo quell’epoca, alcuni dei leader della chiesa cominciarono a ritornare alle pratiche e agli atteggiamenti dei Romani nei confronti delle donne. Comunque, pure con questi atteggiamenti distorti nei riguardi delle donne, c’erano ugualmente molti modi in cui le donne erano pari agli uomini all’interno della chiesa. Per esempio, le donne ricevevano la stessa educazione degli uomini quando diventavano membri della chiesa, erano battezzate allo stesso modo degli uomini, partecipavano all’eucarestia insieme agli uomini e pregavano insieme a loro negli stessi luoghi di culto.
Anche se nel corso dei secoli ci furono alcune deviazioni dagli insegnamenti del Nuovo Testamento riguardo alle donne, per loro ci furono anche importanti cambiamenti legali in meglio in tutto il territorio dell’Impero Romano. Entro i primi cinquant’anni dalla legalizzazione del cristianesimo, nel 374 d.C. l’imperatore Valentiniano I abrogò la patria potestas in vigore da un millennio, così che il maschio a capo della famiglia perse l’autorità assoluta che aveva sulla moglie e sui figli. Le donne ricevettero gli stessi diritti degli uomini riguardo al controllo dei propri beni e alla custodia dei propri figli.
Ciò significava anche che le donne potevano scegliere chi sposare, invece di dover lasciare a loro padre la scelta di un marito, come succedeva nei tempi antichi. Ciò permetteva loro anche di sposarsi più tardi. Grazie agli insegnamenti di Paolo, i mariti cominciarono a vedere le mogli come compagne, sia spiritualmente sia praticamente. Oggi, nel mondo occidentale le donne non sono più costrette a sposare un uomo contro la propria volontà, né possono essere costrette a sposarsi da bambine, come succede ancora in alcune parti del mondo.
Ai tempi di Gesù, e anche prima, molte società antiche, specialmente in Medio Oriente, permettevano la poliginia (quando un uomo può essere sposato con più di una donna allo stesso tempo). Molti dei patriarchi e dei re, come Abraamo, Giacobbe, Davide, Salomone e altri, avevano più di una moglie. Quando Gesù parlò del matrimonio, comunque, fu invariabilmente in un contesto di monogamia.
Gesù disse: “Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e disse: ‘Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne’?” (Matteo 19:5).
Nei loro scritti, diversi Padri della prima chiesa del secondo e terzo secolo si opposero alla poligamia e quando nel Nuovo Testamento si fa riferimento al matrimonio si intende un matrimonio monogamo. La visione cristiana del matrimonio come relazione monogama ha compenetrato le leggi delle società occidentali.
Nei Vangeli vediamo che Gesù provava compassione per le donne rimaste vedove. Risuscitò il figlio di una vedova (Luca 7:11-15), accusò i farisei di approfittarsi finanziariamente delle vedove (Marco 12:40) ed elogiò la povera vedova che si era sacrificata per dare i suoi spiccioli in offerta al tempio (Luca 21:2-3). Nei suoi scritti, l’apostolo Paolo ordinò alla chiesa di Efeso di onorare le madri rimaste vedove (1 Timoteo 5:3-4); nella lettera a Giacomo, poi, leggiamo: “La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo” (Giacomo 1:27).
La vita, la morte e la risurrezione di Gesù, insieme alla salvezza che portarono a chi credeva in Lui, hanno fatto una differenza enorme nella vita di innumerevoli persone nel corso dei secoli. Il suo esempio e i suoi insegnamenti fecero sì che i suoi discepoli e la prima chiesa accordassero alle donne un livello maggiore di dignità, libertà e diritti. Oggi, di conseguenza, nei paesi che sono stati influenzati dal cristianesimo, per la maggior parte le donne hanno più libertà, opportunità e valore umano che nei paesi che non hanno ricevuto quell’influenza.
Pubblicato originariamente nell’aprile 2019. Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 30 ottobre 2025.