Coltivare la gratitudine
Peter Amsterdam
Uno degli aspetti della gratitudine è la contentezza, ma in che modo le Scritture definiscono la contentezza? È una soddisfazione interiore che mantiene il nostro animo in pace nonostante le circostanze esterne. Lo possiamo vedere in ciò che scrisse l’apostolo Paolo a proposito delle sue esperienze: “Ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell’abbondanza e nell’indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica” (Filippesi 4:11-13).
Con questo, Paolo esprimeva il concetto che, in qualunque situazione si trovasse, aveva sempre la pace interiore che Dio poteva supplire ai suoi bisogni. Troviamo la parola greca che esprime contentezza e i termini da essa derivati in versetti come: “Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, saremo di questo contenti” (1 Timoteo 6:8). “La vostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro; siate contenti delle cose che avete; perché Dio stesso ha detto: ‘Io non ti lascerò e non ti abbandonerò’” (Ebrei 13:5).
Lo stesso termine greco è tradotto anche con “a sufficienza”, “sufficiente” o “necessario”. “Dio è potente di fare abbondare in voi ogni grazia affinché, avendo sempre il sufficiente in ogni cosa, voi abbondiate per ogni buona opera” (2 Corinzi 9:8).
Quando siamo contenti, siamo soddisfatti e grati di ciò che Dio ci ha dato, in qualsiasi circostanza. Un altro scrittore descrive così la contentezza:
La persona contenta si rende conto di come la provvidenza divina sia sufficiente ai suoi bisogni e di come la sua grazia sia sufficiente nelle circostanze in cui si trova. Crede che Dio certamente soddisferà tutte le sue necessità materiali e che risolverà tutte le situazioni per il suo bene. Per questo Paolo era in grado di dire: “La pietà, con animo contento del proprio stato, è un grande guadagno”. La persona pia ha scoperto che chi è avido, invidioso o scontento è sempre alla ricerca di qualcosa, ma non lo trova mai: lei invece ha trovato soddisfazione e riposo per la sua anima.1
Quando siamo contenti, siamo soddisfatti perché abbiamo le necessità della vita, le cure e la provvidenza che Dio ci offre in quel momento. Non è un’accettazione passiva della situazione; non ci impedisce di puntare a degli obiettivi, né ci toglie il desiderio di migliorare. Non è noncuranza, autocompiacimento o mancanza del desiderio di fare progressi. Non è nemmeno fatalismo, che accetta le cose come sono e rifiuta di darsi da fare per migliorarle. Al contrario, è la certezza che Dio ha supplito e continuerà a supplire sufficientemente ai nostri bisogni. La contentezza si basa sulla fiducia e sulla fede in Dio, sulla consapevolezza che Lui si prende cura di noi e che quindi dobbiamo essere contenti di ciò che ci ha dato in questa fase della nostra vita. Come Paolo, che imparò a essere contento della sua condizione, che avesse poco o tanto, anche noi possiamo trovare la stessa pace e la stessa contentezza.
Notate che Paolo parla di aver imparato a essere contento. Passò molti momenti difficili nella vita, compresi naufragi, prigionia, sferzate e lapidazioni. Allo stesso modo, anche noi, in qualsiasi situazione possiamo trovarci, per grazia di Dio possiamo essere grati per la sua provvidenza. La nostra contentezza non deve dipendere dalle circostanze o dalle cose; la nostra gioia viene da qualcosa che trascende la povertà o la prosperità – viene soprattutto dalla fede in Dio e dalla fiducia nel suo amore e nelle sue cure.
Lo scontento, lo troviamo fin dagli inizi dell’umanità, nel libro della Genesi. Dio diede ad Adamo ed Eva tutto ciò di cui avevano bisogno, mettendoli in un giardino dove “l’Eterno Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e i cui frutti erano buoni da mangiare” (Genesi 2:8-9). Disse loro che potevano mangiare i frutti di ogni albero del giardino tranne uno. Avevano tutto ciò di cui potessero aver bisogno, ma furono tentati dallo scontento quando il serpente indicò loro che non potevano mangiare i frutti di quell’unico albero. Furono tentati a mettere in dubbio la bontà di Dio e questa è la radice dello scontento.
I credenti che oggi vivono in una società consumistica incontrano difficoltà a essere contenti; è facile adottare l’atteggiamento materialistico che avere più cose, più grandi e più belle ci renderà felici. La pubblicità ci assale in continuazione, proiettando il messaggio che comprare questo o quel prodotto ci porterà soddisfazione. Il sottinteso è che se non abbiamo queste cose saremo infelici e irrealizzati. Se accettiamo quel messaggio, possiamo diventare scontenti di quello che abbiamo e desiderare sempre più cose, sempre migliori. Possiamo sviluppare l’atteggiamento che ciò che Dio ci ha dato non basta, e quindi sentirci scontenti. Naturalmente non è soltanto la sensazione di non avere abbastanza cose materiali che ci rende scontenti. Possiamo ritrovarci a pensare che, se solo avessimo quel lavoro, quell’aumento di stipendio, quella laurea, un innamorato o un’innamorata, un marito o una moglie, saremmo davvero felici.
A volte la causa del nostro scontento può dipendere dalla nostra posizione sociale o lavorativa. Per esempio, potremmo essere infelici perché dobbiamo lavorare per altri e prendere ordini da loro, perché non siamo noi i responsabili, perché vediamo altri ricevere promozioni prima di noi. Quando siamo scontenti, tendiamo a vedere il futuro – quello che c’è dietro la collina, il prossimo risultato, il prossimo obiettivo – come ciò che ci farà sentire realizzati, così perdendo di vista le benedizioni della situazione presente.
Quando siamo contenti delle benedizioni che Dio ha portato nella nostra vita e siamo grati di ciò che ci dà, allora siamo liberi dall’amore del denaro, dalla fissazione di ammucchiare ricchezze, dal desiderio di accumulare sempre di più. Naturalmente, essere contenti non significa che non compreremo mai niente di nuovo o che non avremo di più dal punto di vista finanziario. Gli oggetti si consumano; le famiglie aumentano e con loro aumentano le necessità; quello che prima bastava a volte non è più sufficiente per le circostanze presenti e bisogna aggiornarlo. In casi del genere, l’aggiornamento soddisfa un bisogno legittimo e, se Dio ha fornito i mezzi per farlo, allora è una benedizione da parte sua.
D’altra parte, a volte le circostanze cambiano in peggio. È difficile affrontare delle situazioni in cui le entrate diminuiscono e non siamo più in grado di mantenere il nostro stile di vita, qualunque esso sia. Una volta raggiunto un certo livello di entrate e di uscite, molte persone s’indebitano prendendo denaro a prestito per mantenere uno stile di vita che non si possono più permettere, invece di adattarsi a vivere entro i propri limiti. Imparare a essere contenti ci sfida a mettere da parte l’ansia e a non aver paura di perdere le cose, ma ad adattarci in maniera positiva alla situazione presente, con piena fiducia e gratitudine nei confronti di Dio, come scrisse l’apostolo Paolo, le cui circostanze cambiarono molte volte: “…come povero, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo tutto” (2 Corinzi 6:10).
Essere contenti vuol dire esseri liberi dalla sensazione che ci manchi qualcosa, che dovremmo avere di più o dovremmo trovarci in una situazione migliore. Quando la nostra penuria si pone al centro della nostra attenzione, rischiamo di sentirci insoddisfatti e meno capaci di riconoscere il bene che esiste nella nostra vita, con la continua sensazione che le cose dovrebbero andare meglio. Comunque, quando ci concentriamo sul bene che abbiamo adesso e sulle molte benedizioni che il Signore ci ha dato, diventiamo più grati, soddisfatti e contenti. Passiamo dal sentirci ansiosi e infelici all’avere pace e gratitudine nel cuore. Diventiamo contenti, non solo per quello che abbiamo, ma anche per quello che non abbiamo.
Come incoraggiamo la contentezza? Un modo per farlo è ricordare che quello che possediamo non ci appartiene; tutto ciò che abbiamo ci è stato affidato per averne cura e siamo responsabili di usarlo bene. Sia che abbiamo poco o che abbiamo molto, tutto appartiene a Dio. È anche utile ricordare che tutto quello che abbiamo è un risultato del suo amore e della sua grazia (1 Corinzi 29:12). Quando ci rendiamo conto che quello che abbiamo è un dono e una benedizione di Dio, è più facile essere grati nei suoi confronti per ciò che ci ha dato.
Le Scritture danno molta enfasi al giusto rapporto da avere con le cose materiali. Quasi metà delle parabole di Gesù si riferiscono a come gestire le proprietà; più di duecento versetti dei Vangeli si riferiscono al denaro.2
Può essere utile familiarizzarsi con i versetti che ci aiutano a mettere i nostri pensieri in linea con gli insegnamenti scritturali, o perfino impararne a memoria alcuni, come i seguenti: “Fate attenzione e guardatevi dall’avarizia [o cupidigia], perché la vita di uno non consiste nell’abbondanza delle cose che possiede” (Luca 12:15). “Ora la pietà è un mezzo di grande guadagno, quando uno è contento del proprio stato. Non abbiamo infatti portato nulla nel mondo, ed è chiaro che non possiamo portarne via nulla, ma quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, saremo di questo contenti” (1 Timoteo 6:6-8). “La vostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro; siate contenti delle cose che avete; perché Dio stesso ha detto: Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Ebrei 13:5)
Meditando su questi versetti, potremmo chiedere al Signore di indicarci qualsiasi area in cui siamo scontenti, per poi dedicarci a cambiare il nostro atteggiamento. Possiamo chiedergli di aiutarci a essere contenti mediante l’opera dello Spirito Santo dentro di noi.
Dio ci dà le sue benedizioni in una maniera che va oltre la nostra comprensione. Tutto gli appartiene e come Lui sceglie di distribuirlo è un suo diritto. È nostra responsabilità confidare che Lui sa cos’è giusto, senza mettere in dubbio i suoi giudizi o essere invidiosi di ciò che ha dato ad altri.
Nessuna delle cose di questo mondo ci soddisferà in modo permanente. La nostra soddisfazione, la nostra gioia e il nostro appagamento sono solo nel Signore, che ci ama, ci ha creato e ci sostiene. Anche se possiamo godere delle benedizioni materiali che Dio ci ha dato, non sono quelle a definirci, soddisfarci o darci una gioia durevole. Dimostriamo la nostra gratitudine per le benedizioni divine nella nostra vita imparando a essere contenti delle benedizioni che ci ha dato, molte o poche che siano.
Pubblicato originariamente nel gennaio 2017.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 5 febbraio 2024.
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