Nella banalità
William B. McGrath
In the Commonplace Quando a vent’anni ho iniziato il servizio missionario cristiano, avevo il profondo desiderio di trovare una nicchia speciale, degna di nota. Volevo che il Signore mi usasse per qualcosa di speciale, con il quale potessi provare a me stesso e agli altri che amavo veramente il Signore ed ero profondamente devoto. Ambivo ad avere quello che vedevo in altri: un grande talento per la musica o forse un dono speciale per il disegno artistico o forse solo il carisma per essere un leader e ispirare altri. Volevo una posizione di responsabilità degna di nota o un talento riconoscibile che gli altri potessero vedere.
La mia battaglia interiore è continuata quando sembrava che proprio non sarebbe successo, almeno non a breve tempo. Sono diventato sempre più consapevole che semplicemente non avevo i doni e i talenti che ammiravo in altri. Allo stesso tempo, tuttavia, amavo veramente Gesù e ho sempre creduto nel dargli la parte migliore di me. Mi ci è voluto un po’ di tempo per imparare che potevo essere vicino al Signore e provare un grande appagamento anche senza avere quei doni degni di nota che vedevo in altri, e che tutti hanno le loro difficoltà, a prescindere da doni e talenti.
Dio viene a noi nelle nostre sofferenze, nelle nostre mancanze, nella nostra fame spirituale, quando siamo respinti o isolati, o quando soffriamo qualche ingiustizia. “L'Eterno è vicino a quelli che hanno il cuore rotto e salva quelli che hanno lo spirito affranto”.1
Leggiamo che gli angeli vennero e servirono Gesù, gli diedero forza dopo che era stato tentato aspramente nel deserto per quaranta giorni; poi di nuovo quando era nell’orto di Getsemani.2 Varie altre storie bibliche mostrano Dio o i suoi angeli che arrivano ad aiutare la gente quando si trova in un vero pasticcio. Questa assistenza e questa forza dal cielo sono ciò che il Signore disse all’apostolo Paolo che lo avrebbe sostenuto.3 La grazia di Dio ha sostenuto molti santi e può sostenere ognuno di noi e perfino permetterci di attingere alla gioia del Signore in mezzo alle nostre sofferenze e difficoltà umane e di rallegrarci sempre.4 La nostra gioia profonda e durevole non è temporanea né dipende dalle circostanze, ma nasce dalla luce del vangelo che risplende nei nostri cuori.5
Per un bel po’ di tempo ho ritenuto irraggiungibili alcune delle beatitudini di cui parla il Signore all’inizio del suo Sermone sul Monte.6 Riuscivo a capire in parte che poteva essere beato essere un portatore di pace, o avere fame e sete di giustizia. Ma essere poveri in spirito? Essere afflitti? Perseguitati? Insultati? Essere miti e mansueti davanti alla crudeltà? Era tutto così contrario a ciò che gli altri avevano cercato di inculcarmi, così contrario a ciò che il mio stesso cuore sussurrava, così contrario alla narrativa della cultura di questo mondo.
Le beatitudini di cui parlava Gesù, le grazie che indicò nel suo discorso, descrivono la vita celeste alla quale abbiamo appena iniziato a essere preparati.
J. R. Miller scrisse:
La mansuetudine non è una grazia facile. Anzi, nessuna grazia è facile da avere. È la vita celeste alla quale veniamo preparati, e solo una rivoluzione morale e spirituale produrrà in noi quelle qualità celesti. Il vecchio deve morire perché il nuovo possa vivere. Le grazie spirituali non sono solo caratteristiche amabili della natura umana formate e coltivate dalla gentilezza; sono trasformazioni operate dallo Spirito divino.
Una vecchia profezia, in una visione del regno del Messia, ritrae il lupo che abita con l’agnello, il leopardo che si sdraia con il capretto, il vitello in compagnia del leoncello. Qualsiasi cosa si possa dire dell’adempimento letterale di questa profezia per quanto riguarda il domare e assoggettare degli animali feroci, il suo adempimento più grande si avrà nella rigenerazione dell’anima umana, che si opera attraverso il vangelo. Il lupo insito nell’indole e nella propensione umana si trasforma in una dolcezza come quella dell’agnello.
La mansuetudine cristiana, per esempio, è un lupo convertito. Il risentimento è nella natura umana. Quando sei colpito, reagisci. Quando ti fanno un torto, esigi riparazione. “Occhio per occhio, dente per dente” è la legge. A nessuno viene naturale sopportare pazientemente le ferite, sottomettersi senza risentimenti alle scortesie, perdonare torti o insulti personali e non nutrire rancori.7
Dopo aver atteso anni per comprendere, almeno in misura maggiore, il significato delle beatitudini e del Sermone sul Monte, mi sono arrivati per posta due libri economici che mi hanno dato la comprensione che desideravo. The Master’s Blesseds [Le beatitudini del Maestro], di J. R. Miller, e Studies in the Sermon on the Mount [Studi sul tema del Sermone sul Monte], di Oswald Chambers.
È buona cosa per noi studiare attentamente le beatitudini uscire dalle labbra del Signore mentre era presente qui. Siamo immediatamente colpiti da come trascendono le cose terrene. Sono completamente diverse dalle beatitudini umane. Si contrappongono direttamente alle massime che governano la società umana e danno impulso alle ambizioni umane.8
Possiamo dimenticare l’enorme forza che il mondo esercita su di noi affinché ci conformiamo al suo modo di pensare e di vedere le cose e i modi sottili in cui minimizza ciò che il Signore insegna nella sua Parola. Solo restando vicini a Gesù possiamo continuare a emulare le qualità del regno di Dio di cui ha parlato.
Quando ho iniziato a servire il Signore, ho passato ore a cercare di sviluppare il mio talento artistico nella speranza di diventare un artista degno di nota. Ci sono voluti mesi prima di rendermi conto che non sarebbe mai successo. In seguito, è arrivato un momento in cui ho pensato che forse avrei sviluppato un talento nel suonare la chitarra e che sarei diventato una “celebrità” in quello. Ci ho dedicato molte ore, finché alla fine, anche qui, mi son reso conto che non sarebbe mai successo.
Così sono arrivato ad accettare la mia posizione e i miei doveri banali; col passare degli anni mi sono reso conto che le mie delusioni giovanili sono servite ad avvicinarmi di più al Signore e a conoscerlo in modo più profondo e soddisfacente. Ho imparato che la porta per arrivare a servirlo si unisce allo sviluppo di un rapporto forte e intimo con Lui. Non c’è bisogno di avere un talento o una posizione degni di nota. Il prerequisito per servirlo è semplicemente l’avere un grande amore per Gesù. Nel mio caso, Dio mi ha mostrato dolcemente che le virtù e le forze che una volta ritenevo così grandi non rientravano nel suo piano per me, così che potessi arrivare a essere più dipendente da Lui e a sviluppare le sue qualità.
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 24 agosto 2022.
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