La cosa più grande al mondo
Prima parte
L’amore, messo a confronto
Henry Drummond
Dall’antichità ai tempi moderni, tutti si sono fatti una grande domanda: qual è il summum bonum, il bene supremo? Davanti a te c’è la vita. Puoi viverla solo una volta. Qual è l’oggetto di desiderio più nobile, il dono supremo da bramare?
Siamo abituati a sentire che la cosa più grande nel mondo della religione è la fede. Quella grande parola è stata per secoli il concetto chiave della religione popolare. Abbiamo facilmente imparato a vederla come la cosa più grande al mondo. Bene, ci siamo sbagliati. Nel capitolo 13 di 1 Corinzi, Paolo ci porta alla fonte del cristianesimo ed è lì che leggiamo: “La più grande di esse è l’amore”.
Non è uno sbaglio. Appena un momento prima Paolo parlava della fede. Ecco cosa dice: “Se avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla”. Non se lo dimentica per niente, le mette deliberatamente a confronto: “Queste tre cose durano: fede, speranza, amore” — e senza un attimo di esitazione ecco la sua decisione: “…ma la più grande di esse è l'amore”.
Non è nemmeno un pregiudizio. Un uomo è portato a raccomandare agli altri quello che è il suo punto forte. L’amore non era il punto forte di Paolo. Lo studente osservatore può individuare una dolce tenerezza che cresce e matura nel carattere di Paolo man mano che lui invecchia; ma la mano che scrisse “la più grande di esse è l’amore”, quando l’abbiamo conosciuta la prima volta era macchiata di sangue.
Né questa lettera ai Corinzi è l’unica a indicare l’amore come il summum bonum. I capolavori del cristianesimo concordano al riguardo. Pietro dice: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri”. Soprattutto. E Giovanni si spinge più in là: “Dio è amore”.
Ricorderete il profondo commento che Paolo fa in un altro punto: “L’amore è l’adempimento della legge”. Avete mai pensato a cosa intendesse con questo? A quei tempi gli uomini cercavano di arrivare in cielo osservando i Dieci Comandamenti, più gli altri centodieci comandamenti che avevano ricavato da quelli. Poi arrivò Cristo, che disse: “Vi mostrerò una via più semplice. Se fate un’unica cosa, sarà come farle tutte centodieci, senza neanche pensarci. Se amate, osserverete inconsapevolmente tutta la legge”.
Potete vedere facilmente da soli perché dev’essere così. Prendete uno qualsiasi dei comandamenti. “Non avere altri dei oltre a Me”. Se un uomo ama Dio, non ci sarà bisogno di dirglielo. L’amore è l’adempimento di quella legge. “Non nominare il suo nome invano”. Chi si sognerebbe di nominare il suo nome invano, se lo amasse? “Ricordati di santificare il sabato”. Non sarebbe lieto di avere un giorno su sette da dedicare esclusivamente all’oggetto del suo amore? L’amore adempirebbe queste leggi riguardo a Dio.
Allo stesso modo, se un uomo sapesse amare non ci sarebbe bisogno di dirgli di onorare suo padre e sua madre. Non potrebbe farne ameno. Sarebbe assurdo dirgli di non uccidere. Sarebbe solo un insulto il suggerimento di non rubare: come potrebbe rubare a una persona che ama? Sarebbe superfluo implorarlo di non dire falsa testimonianza contro il suo prossimo. Se amasse il prossimo quella sarebbe l’ultima cosa che farebbe. Non ci si sognerebbe mai di sollecitarlo a non desiderare le cose che il suo prossimo possiede. Preferirebbe che continuassero ad appartenere a lui . Così “l’amore è l’adempimento della legge”. È la regola per rispettare tutte le regole, il nuovo comandamento per osservare tutti i vecchi comandamenti, il segreto che Cristo ci dà per una vita cristiana.
Paolo l’aveva imparato; e in questa nobile eulogia ci ha dato una spiegazione meravigliosa e originale del summum bonum. Possiamo dividerla in alcune parti. All’inizio di questo breve capitolo, vediamo l’amore messo a confronto; in mezzo vediamo l’amore analizzato [e praticato]; verso la fine, vediamo l’amore difeso come dono supremo.
Paolo inizia facendo un confronto tra l’amore e le altre cose cui gli uomini di quell’epoca davano grande valore.
Lo confronta con l’eloquenza. Un dono nobilissimo, il potere di intervenire sull’anima e la volontà di un uomo, di provocarlo a gesta sante e scopi elevati. Paolo dice: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo”. Tutti sappiamo perché. Tutti abbiamo avvertito la sfrontatezza di parole prive di emozione, la vacuità, l’inspiegabile mancanza di persuasione di un’eloquenza dietro alla quale non c’è amore.
Lo confronta con la profezia. Lo confronta con i misteri. Lo confronta con la fede. Lo mette in contrasto con la carità: “Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri”. Perché l’amore è più grande della fede? Perché il fine è più grande dei mezzi. E perché è più grande della carità? Perché l’intero è più grande delle sue parti.
L’amore è più grande della fede, perché il fine è più grande dei mezzi. A cosa serve avere fede? A collegare l’anima a Dio. E qual è il fine del collegamento tra l’uomo e Dio? Che l’uomo possa diventare come Dio. Ma Dio è amore. Perciò la fede, il mezzo, serve ad amare, il fine. L’amore, quindi, è ovviamente più grande della fede. “Se avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla”.
È più grande della carità, anche qui perché l’intero è più grande delle parti. La carità è solo una delle innumerevoli vie dell’amore e potrebbe anche esserci, e in effetti c’è, molta carità priva di amore.
Poi Paolo lo confronta con il sacrificio e il martirio: “Se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente”. Non esiste niente che i missionari possano portare al mondo pagano che sia più grande dell’impronta e del riflesso dell’amore divino nel loro stesso carattere. È la lingua universale. Ci vorranno anni prima che imparino a parlare in cinese o nei dialetti dell’India. Dal giorno in cui arrivano, la lingua dell’amore, compresa da tutti, riverserà la sua inconsapevole eloquenza.
È l’uomo che fa il missionario. Il suo carattere è il suo messaggio. Nel cuore dell’Africa ho incontrato neri, uomini e donne, che ricordavano l’unico uomo bianco che avessero mai visto: David Livingstone; quando incrociate il suo cammino in quel continente i visi degli uomini s’illuminano quando parlano del medico gentile che era passato di là anni prima. Non riuscivano a comprenderlo, ma sentivano l’amore che batteva nel suo cuore. Sapevano che era amore, anche se lui non diceva una sola parola.
Portate nella vostra sfera di lavoro, dove anche voi volete dare la vita, quel fascino semplice, e l’opera della vostra vita prospererà. Non potete portare niente di più grande; non potete portare niente di meno. Potete ottenere qualsiasi conseguimento, potete essere pronti a ogni sacrificio, ma se date il vostro corpo a essere arso, e non avete amore, non gioverà nulla a né voi né alla causa di Cristo.
Dominio pubblico. Riassunto e leggermente adattato dall’originale pubblicato nel 1981:
http://www.gutenberg.org/files/16739/16739-h/16739-h.htm.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora il 19 marzo 2021.
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