Il tempo della fine e l’eternità: cos’è più importante?
John, Medio Oriente
La seconda venuta di Gesù sarà senza dubbio il giorno più emozionante e glorioso di tutta la storia. Tuttavia, in Matteo 24 Gesù ci avverte tre volte di non lasciarci ingannare. Mette persino in dubbio che ci sarà fede sulla terra al suo ritorno: “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18:8).
Matteo 24, che include soprattutto il discorso di Gesù sul tempo della fine, è un capitolo emozionante e affascinante. Tuttavia, copre solo un breve segmento della storia. Il capitolo che segue, Matteo 25, è molto più importante per la nostra vita spirituale, perché copre tutta l’eternità e il modo in cui vivremo la nostra vita lì. La nostra vita presente non è che un vapore rispetto all’eternità (Giacomo 4:14).
Sia che termini a causa della nostra morte o del ritorno di Cristo, la vita attuale è solo una transizione verso la vita eterna. Le preoccupazioni presenti fanno parte del viaggio e svaniranno quando entreremo nel regno eterno di Dio.
Gli insegnamenti sui tempi della fine non sono l’essenza del messaggio di Gesù. Il nostro obiettivo principale e suo ordine ai suoi seguaci è amare Dio e gli altri con tutto il cuore (Matteo 22:37-40) e compiere l’opera di instaurazione del suo regno sulla terra (Luca 9:2). Come disse una volta Madre Teresa: “Che nessuno venga mai da voi senza andarsene migliore e più felice. Siate l’espressione vivente della bontà divina”.
Mentre Matteo 24 si concentra sui segni della seconda venuta di Cristo, Matteo 25 inizia con la parabola delle dieci vergini. Tutte e dieci le vergini avevano lampade a olio. Al momento della venuta di Gesù, alcune avevano olio sufficiente nelle lampade, mentre altre erano impreparate e senza olio, così si persero le nozze dello Sposo.
E sulla mezzanotte si levò un grido: “Ecco, arriva lo sposo, uscitegli incontro!” Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle avvedute: “Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade stanno per spegnersi”.
Ma le avvedute, rispondendo. dissero: “No, perché non basterebbe né a noi né a voi; andate piuttosto dai venditori e compratene”. Ora, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; le vergini che erano pronte entrarono con lui per le nozze; e la porta fu chiusa.
Più tardi giunsero anche le altre vergini, dicendo: “Signore, signore, aprici”. Ma egli, rispondendo, disse: “in verità vi dico che non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora in cui il Figlio dell’uomo verrà” (Matteo 25:6-13).
Questa parabola ci ricorda che dobbiamo essere pronti spiritualmente in ogni momento, poiché incontreremo Cristo o quando tornerà sulla terra o quando moriremo, e non sappiamo quando questo accadrà.
Gesù ci ha ripetuto più volte di vegliare, non tanto per i segni della sua venuta, quanto per vegliare sul nostro cuore ed esaminare noi stessi per assicurarci di rimanere fedeli. Come ha avvertito:
Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio; perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra. Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo (Luca 21:34-36).
Il capitolo 25 di Matteo si conclude con la parabola delle pecore e delle capre, una storia che va oltre la parabola e ci porta a interrogarci sulle profonde questioni che dovremo affrontare nel giorno del giudizio. Secondo Matteo 25:31-46, il mondo, compresa la Chiesa, sarà giudicato in base alla carità che esercita nei confronti degli altri e che si manifesta attraverso l’assistenza fisica e spirituale dei poveri, dei malati, dei rifugiati, degli indigenti, delle vedove e degli orfani.
Nel giorno del giudizio i giusti chiederanno: “Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” (Matteo 25:39). Gesù risponde: “In verità vi dico: tutte le volte che l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:40). In ultima analisi, ciò che conta è il modo in cui conduciamo la nostra vita nel tempo che passiamo sulla terra, non il fatto di comprendere appieno le profezie sul tempo della fine e di poter etichettare ogni corno e bestia menzionati nei libri dell’Apocalisse e di Daniele.
Come credenti dobbiamo:
- Amare Dio e gli altri
- Diffondere il Vangelo (Marco 16:15)
- Vivere e far conoscere gli insegnamenti di Gesù (Giovanni 14:15)
- Camminare con umiltà davanti a Dio e agli uomini (Michea 6:8).
Se siamo fedeli in queste cose, possiamo confidare che saremo pronti per qualsiasi evenienza.
L’appello a un amore disinteressato e incentrato sugli altri
Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi (Matteo 25:35-36).
Amare gli altri è estremamente importante e costituisce la nostra liturgia e la nostra spiritualità. Amare e prendersi cura degli altri può essere la cura per molti dei nostri problemi. Se vi sentite tristi, non amati, soli o vuoti, cercate di dare qualcosa a chi ne ha ancora più bisogno e sentirete rafforzarsi la vita di Dio dentro di voi.
Matteo 25 sottolinea gli atti di carità, che sono importanti. Siamo opera di Dio, creati in Cristo Gesù per le opere buone (Efesini 2:10). Gesù ci ha detto di far risplendere la nostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le nostre opere buone e glorifichino il Padre nostro che è nei cieli (Matteo 5:16). Sant’Agostino d’Ippona scrisse: “Chi pensa di comprendere le Scritture, o una parte d’esse, ma ne dà un’interpretazione che non tende a costruire il duplice amore per Dio e per il prossimo, non le comprende ancora come dovrebbe”.
La parabola del Buon Samaritano (Luca 10:25-37) era un insegnamento importante nella Chiesa primitiva. I padri della Chiesa la utilizzavano spesso nei loro insegnamenti. La Chiesa primitiva intendeva questa parabola come una vera e propria lezione morale sull’aiuto agli altri, indipendentemente dalla loro provenienza, etnia, religione o condizione sociale. Alcuni videro nel Buon Samaritano il Cristo che aiuta l’umanità ferita.
La parabola era particolarmente importante per i primi cristiani, perché spesso assistevano i malati durante le pestilenze e aiutavano i viaggiatori e gli stranieri: applicazioni pratiche del messaggio della parabola. Essi consideravano questo tipo di cure altruiste per gli altri una caratteristica distintiva della vita cristiana.
Nel nostro sincero desiderio di piacere a Dio e di servire gli altri, dobbiamo ricordare che siamo salvati solo per la sua grazia, non per le nostre buone opere, come chiariscono Efesini 2:8-9 e Tito 3:5. La vita eterna è un puro dono di Dio (Giovanni 3:16) e il nostro servizio a Lui dovrebbe scaturire naturalmente dalla gratitudine per la sua infinita misericordia.
Con la sua morte sulla croce, Gesù ha inaugurato una nuova alleanza, un nuovo accordo tra Dio e l’uomo, una nuova era di grazia straordinaria. A noi non è costata nulla, ma a chi l’ha donata è costata tutto. Dio non ci ama a causa delle opere che facciamo per Lui. Sebbene possa apprezzare le nostre buone opere, apprezza soprattutto il nostro amore per Lui — e le nostre buone opere dovrebbero scaturire da questo nostro amore!
C. S. Lewis ha scritto che “la salute spirituale di un uomo è esattamente proporzionale al suo amore per Dio”. La spiritualità e l’etica cristiana si riassumono in una premessa molto semplice: “Ama Dio e ama gli altri come te stesso”. L’enfasi del Nuovo Testamento è amare gli altri, amare gli altri e amare gli altri. La Chiesa primitiva ha capito un principio molto importante: la nostra religione, la nostra fede e la nostra spiritualità si realizzano nelle relazioni che abbiamo con gli altri e nel servici a vicenda.
Il defunto professore di inglese Thomas Howard offre una definizione dell’amore con una sola frase: “La mia vita per la tua”, facendo eco alle parole di Gesù: “Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Giovanni 15:13).
Nella sua lettera ai Corinzi, Paolo ha scritto a proposito del primato dell’amore incentrato sugli altri:
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla (1 Corinzi 13:1-2).
L’amore di cui parlano Gesù e Paolo va ben oltre l’amore terreno; è un amore che supera la comprensione umana fino ad amare anche i nostri nemici: è un amore per gli incompresi, i condannati e persino i peccatori. Il segreto di questo amore è la nostra relazione con Dio. Come ha scritto Anne Graham Lotz: “Il primo segreto per amare gli altri è immergersi in una relazione d’amore con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo e rimanere lì”.
Auguro che possiamo cercare continuamente le vere ricchezze che si trovano solo in Gesù Cristo, mentre aspettiamo con ansia di sentire quelle meravigliose parole: “Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore” (Matteo 25:21).
“Una sola vita, presto passerà, solo ciò che è stato fatto per Cristo durerà”. —T. Studd
Pubblicato originariamente sull’Ancora in inglese il 7 maggio 2025.
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