Il sig. Eternità
Curtis Peter van Gorder
Mia figlia una volta mi chiese se mi fossi pentito di aver dedicato la vita al servizio del Signore.
Risposi: “Assolutamente nessun rimpianto. L’idea era di lavorare con in mente l’eternità”.
L’espressione “per sempre e un giorno”, il simbolo dell’infinito ∞, e il nastro di Mobius mi hanno sempre affascinato. Ho riflettuto su come potrebbe sentirsi un uomo se potesse vivere solo per il presente. La cosa lo renderebbe vacuo, insoddisfatto, e alla fine lo lascerebbe come un guscio vuoto. Volevo di più da questa vita e volevo l’eternità nella prossima.
La parola “eternità” è stata divulgata da un tipo sorprendente che è scomparso nel 1967; si chiamava Arthur Stace. La sua storia è stata ricordata in un libro, in un’opera e in un film.1 Gli è stato fatto omaggio con uno spettacolo pirotecnico alla fine della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici del 2000 a Sydney e per la celebrazione del Capodanno nel porto di Sydney.
Cresciuto in una famiglia violenta e alcolista, coinvolto in piccoli crimini, per i primi quarantacinque anni della sua vita Arthur era stato un “pezzente ubriacone e buono a nulla”, come lo ha descritto molti anni dopo il suo biografo. Tutto questo cambiò il giorno in cui ascoltò una predica basata su Isaia 57,15:
Poiché così dice l’Alto e l’Eccelso, che abita l’eternità, e il cui nome è “Santo”: «Io dimoro nel luogo alto e santo e anche con colui che è contrito e umile di spirito, per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare lo spirito dei contriti».
Le parole di John Ridley in quel sermone erano: “Eternità, Eternità, vorrei far risuonare o gridare questa parola a tutti per le strade di Sydney. Prima o poi dovrete arrivarci: dove spenderete l’Eternità”?
Più tardi Stace disse: “Eternità risuonò nel mio cervello e improvvisamente cominciai a piangere e sentii una forte chiamata da parte del Signore a scrivere la parola ‘Eternità’”.
Si mise le mani in tasca e vi trovò un pezzo di gesso. Fu allora che ricevette la chiamata a scrivere quella parola dovunque potesse. Anche se era analfabeta e sapeva a malapena scrivere il proprio nome, disse: “Quando la scrissi per la prima volta, la parola ‘Eternità’ mi venne facile facile, con una bellissima calligrafia, chiara e regolare. Non riuscii a capire come feci, e non lo capisco neanche adesso”.
Nei ventott’anni successivi, più volte alla settimana, usciva di casa alle 5 del mattino per andare a scriverla nei luoghi pubblici, per ricordare a chi la vedeva che cosa conta veramente nella vita. Disse che Dio gli dava indicazioni precise su dove andare ogni giorno. Scriveva “Eternità”almeno cinquanta volte al giorno, prima col gesso e in seguito con un pastello di cera – perché sarebbe durata più a lungo. Alla fine, aveva scritto in giro per la città quella parola magica e stimolante ben mezzo milione di volte. Oltre a ciò, Arthur aiutava gli alcolisti ad abbandonare il vizio e iniziare una nuova vita. Si definiva un “missionario”.
La storia di Arthur ci ispira a usare ciò che abbiamo – per piccolo che possa sembrare, anche solo come un gessetto – per essere una forza per il bene nel mondo.
Quando ero giovane, ho letto che la nostra vita è come l’erba, come i fiori o come il fumo; siamo qui per un po’ di tempo poi svaniamo. All’epoca, la mia vita sembrava una strada molto lunga, senza una fine in vista. Non sapevo cosa significassero davvero quelle illustrazioni, ma ora che ho 66 anni, le comprendo meglio. Il tempo è un’entità sfuggente – Einstein cercò di chiarire il concetto con quella che lui chiamava “dilatazione del tempo”. Spiegò che il tempo non passa allo stesso ritmo per tutti. Per chi viaggia a una velocità più alta, il tempo sembra passare più lentamente di chi viaggia a una velocità più bassa. Quando sei giovane, il tempo sembra passare più lentamente perché hai meno tempo con cui confrontarlo. Ora che sono più vecchio, il tempo sembra volare. Molte persone che hanno avuto esperienze di vita dopo la morte dicono che anche se erano rimaste prive di sensi per pochi minuti sulla terra, in quell’altra dimensione avevano vissuto per quelli che sembravano decenni.
Una volta Francis Chan ha illustrato l’eternità portando sul palco una corda lunghissima.2 “Immaginate”, disse, “che questa corda vada avanti per sempre e indichi la vostra vita nell’eternità”. Poi ha indicato alcuni centimetri di corda colorati di rosso: “E questa è la vostra vita sulla terra”. Quello che voleva mettere in chiaro era che alcune persone vivono solo per questa piccola parte terrena della loro vita, la loro esistenza terrena, ignorando il resto, la loro vita eterna, non rendendosi conto che ciò che facciamo durante il tempo che passiamo sulla terra influenza la nostra vita nell’aldilà.
Ciò che facciamo qui, adesso, avrà il suo eco dopo, per l’eternità. Ed è questo che conta davvero.
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 16 maggio 2018.
1 Un documentario breve su Arthur Stace: https://www.youtube.com/watch?v=bF7X9aiRH7s.
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