In cerca di una patria migliore
Dwight L. Moody
Quando ero bambino, pensavo al paradiso come a una grande città luminosa con grandi mura, cupole e guglie, senza altri abitanti tranne gli angeli, che per me in realtà erano degli estranei. Poco dopo il mio fratellino morì e cominciai a pensare al paradiso come a una grande città con grandi mura, cupole, guglie, uno stormo di angeli sconosciuti e gelidi, e un ragazzino che invece conoscevo. Era l’unico che conoscevo in quel paese. Poi un altro mio fratello morì, così quelli che conoscevo erano due. Poi cominciarono a morire diversi miei conoscenti e il numero delle persone che conoscevo aumentò continuamente.
Fu solo quando restituii a Dio uno dei miei bambini che cominciai a pensare di avere anch’io una piccola parte in cielo. Se ne andò un secondo, poi un terzo e un quarto e a quel punto avevo così tante conoscenze in cielo che non vedevo più mura, cupole e guglie. Cominciai a pensare agli abitanti della Città Celeste. Adesso così tanti miei conoscenti se ne sono andati là, che a volte mi sembra di conoscere più gente in cielo che sulla terra.
La casa dell’anima
Quella casa immutabile fatta per noi,
dove vive Gesù il Nazareno;
Lui è l’eterno Re d’ogni regno,
nelle sue mani ha le nostre corone.
Che bello sarà vivere in quel bel paese,
liberi da ogni pena e dolore;
con canti sulle labbra e arpe nelle mani
ci rivedremo tutti di nuovo lassù.1
[…] Qual è sempre stato e ancora è uno dei sentimenti più forti nel cuore dell’uomo? Non è forse trovare un luogo migliore, un posto più bello di quello in cui viviamo oggi? È questo che tutti cercano in ogni luogo; possono averlo se vogliono; ma invece di guardarsi intorno devono guardare in alto per trovarlo. Man mano che la conoscenza umana aumenta, tutti competono per rendere attraenti le loro case, ma la casa più bella sulla terra non è che un fienile vuoto, in confronto ai palazzi del cielo.
Che cosa cerchiamo quando la vita si avvia alla fine? Non è forse un rifugio sicuro, un luogo tranquillo, dove, se non possiamo avere un riposo costante, possiamo avere almeno un assaggio del riposo che avremo? Che cosa portò Colombo, ignaro di quale sarebbe stato il suo destino, oltre i mari occidentali inesplorati, se non la speranza di trovare un paese migliore?
È questo che incoraggiò i Padri Pellegrini, dopo che la persecuzione li allontanò dalla loro terra natia, quando dovettero affrontare un territorio inesplorato al di là di una costa scogliosa e selvaggia. Furono spronati e ispirati dalla speranza di raggiungere un paese libero e fecondo, dove infine poter riposare e adorare Dio in pace.
La speranza che i cristiani hanno del paradiso è una cosa del genere, solo che non è un paese inesplorato e le sue attrattive non possono paragonarsi a nessuna delle cose che conosciamo sulla terra. Forse è solo la limitatezza del nostro campo visivo che c’impedisce di vedere le porte celesti aperte davanti a noi; forse solo la sordità delle nostre orecchie c’impedisce di udire i rintocchi gioiosi delle campane celesti. Intorno a noi ci sono suoni costanti che non riusciamo a udire e il cielo è costellato di mondi luminosi che i nostri occhi non hanno mai visto. Anche se conosciamo poco di quel paese luminoso e radioso, di tanto in tanto siamo raggiunti da sprazzi della sua bellezza.
Forse non conosciamo la dolcezza del suo clima
né la bellezza e il colore dei suoi fiori;
forse non udiamo i canti che echeggiano
sotto quelle pergole incantate.
Forse la nostra annebbiata vista terrena
non scorge le torri luccicanti della città,
perché la morte, guardiana silenziosa,
regge le chiavi delle sue porte felici.
A volte però, quando nel cielo a occidente
indugia un tramonto infuocato,
le sue porte dorate si spalancano silenziose,
come aperte da dita invisibili.
E mentre indugiano un attimo socchiuse,
il bagliore della sua magnifica bellezza
s’irraggia splendida sulla volta azzurra lontana
e rivela in parte la sua storia.2
Alcuni viaggiatori dicono che salendo sulle Alpi si possono vedere molto chiaramente le case di villaggi lontani, tanto che a volte si possono contare i pannelli di vetro delle finestre di una chiesa. La distanza sembra così breve che la destinazione del viaggiatore sembra a portata di mano, ma anche dopo ore e ore di salita non appare più vicina. Ciò è dovuto alla trasparenza dell’atmosfera. Perseverando, però, alla fine si raggiunge la destinazione e il viaggiatore stanco trova finalmente riposo. Così a volte noi viviamo nelle grandi altitudini della grazia. Il cielo sembra molto vicino e le colline di Beulah appaiono in piena vista. Altre volte le nuvole e la nebbia causate dalla sofferenza e dal peccato c’impediscono la vista. Siamo vicini al cielo nell’uno e nell’altro caso e abbiamo altrettanta certezza di raggiungerlo, se solo continuiamo a seguire il sentiero che Cristo ci ha indicato.
Ho letto che sulle sponde dell’Adriatico le mogli dei pescatori usciti al largo hanno l’abitudine di scendere sulla spiaggia di notte e cantare con le loro care voci il primo verso di qualche bell’inno. Dopo aver cantato rimangono in ascolto finché non odono, portato dal vento, il secondo verso cantato dai loro uomini coraggiosi mentre tribolano sul mare agitato — ed entrambi sono felici.
Forse, se ascoltassimo, anche noi potremmo udire su questo nostro mondo agitato dalla tempesta qualche suono, qualche sussurro giunto da lontano per dirci che c’è un cielo che è la nostra casa; e quando cantiamo i nostri inni sulle sponde della terra, forse potremmo udire il loro dolce eco riportarci una musica dalle sabbie del tempo, rallegrando il cuore dei pellegrini e dei forestieri sulla via. Sì, dobbiamo alzare lo sguardo — lontano, oltre la terra qui in basso — e innalzare i nostri pensieri e le nostre azioni, anche qui dove siamo ora!
Sapete, quando un uomo sale su una mongolfiera porta con sé della sabbia come zavorra; quando vuole salire un po’ più in alto ne lascia cadere una parte per poter andare più in su; getta ancora un po’ di zavorra e sale più in su; più ne getta, più sale. Allo stesso modo più gettiamo le cose del mondo, più ci avviciniamo a Dio. Lasciamole andare; non teniamole nel cuore e nella mente, ma facciamo ciò che il Maestro ci dice: facciamoci dei tesori in cielo. […]
Bene, penso che sia questo che vogliamo dire a chi si professa cristiano: se costruisci la tua casa per il mondo temporale, ne rimarrai deluso. Dio dice: costruisci quassù. È molto meglio avere la vita con Cristo in Dio che in qualsiasi altro luogo. Preferisco nascondere la mia vita con Cristo in Dio, che vivere nell’Eden con Adamo. Adamo avrebbe potuto rimanere nel paradiso terrestre per sedicimila anni, per poi peccare; ma se la nostra vita è nascosta in Cristo, è davvero al sicuro!
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 21 settembre 2018.
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