Peter Amsterdam
Recentemente ho meditato su cosa voglia dire essere discepoli di Gesù. Per definizione, un discepolo è un seguace degli insegnamenti di qualcuno; è una persona che accetta questi insegnamenti, cerca di comportarsi di conseguenza e contribuisce alla loro diffusione. Un discepolo di Gesù, quindi, è una persona che accetta e segue i suoi insegnamenti, cioè aderisce a essi attivamente, li mette in pratica nella sua vita e contribuisce in qualche modo alla diffusione della buona notizia della salvezza: il messaggio di Gesù.
I credenti accettano per veri gli insegnamenti di Gesù; credono in Lui, credono che sia il loro salvatore e sanno di essere salvati. Gesù indicò chiaramente che credere in Lui è sufficiente per la salvezza, quando in Giovanni 3,16 disse che “chiunque crede in Lui non perisce, ma ha vita eterna”. È meraviglioso essere credenti! Vuol dire avere la vita eterna, l’eternità insieme a Dio.
Seguire il cammino del discepolato significa che uno prende la decisione di aggiungere azione alla sua fede. Vuol dire andare oltre la semplice accettazione degli insegnamenti e comporta la scelta di seguirli e metterli in pratica nella vita quotidiana. Quel cammino porta a prestarsi attivamente alla diffusione degli insegnamenti. La parola “discepolo” è la traduzione del greco mathetes che indica un allievo, chi impara. Nel Nuovo Testamento la parola “discepolo” è usata solo nei Vangeli e nel libro degli Atti. Indica il contrasto tra il maestro e l’allievo. Implica anche che l’allievo segue gli insegnamenti del maestro, che li accetta non solo credendo in essi, ma vivendoli, mettendoli in pratica e seguendoli.
I discepoli sono la chiave per la diffusione del Cristianesimo, per l’adempimento del mandato affidato da Gesù ai suoi primi discepoli, quelli inizialmente incaricati di portare la buona novella al mondo di quei giorni. Come discepoli moderni, abbiamo l’incarico di portare il Vangelo al mondo dei nostri giorni.
Ogni caso in cui una persona ha contribuito a portare Gesù nella vita di un altro, che a sua volta ha raggiunto qualcun altro, è un microcosmo della storia del Cristianesimo. Esso continua a esistere perché i discepoli contribuiscono a diffondere gli insegnamenti di Gesù. La genealogia spirituale di qualcuno passa di persona in persona, di generazione in generazione, grazie a chi crede, segue e diffonde gli insegnamenti.
Ogni cristiano è un lontano parente spirituale dei primi Cristiani, quelli che conobbero Gesù, che predicarono per primi la buona novella. Predicarono il Vangelo, insegnarono ad altri e li consolidarono nella fede; poi il procedimento fu ripetuto più e più volte, un secolo dopo l’altro. Il Cristianesimo esiste oggi perché nel corso della storia alcuni fecero ciò che Gesù insegnò ai primi discepoli: predicare il Vangelo e fare discepoli. Quindi, la presenza dei discepoli nel mondo è essenziale perché il Cristianesimo continui. I testimoni fedeli non possono sapere quanti frutti porteranno in futuro negli anni, perfino nelle generazioni.
Un discepolo è una persona, famosa o no, esuberante o no, nota o sconosciuta – che crede negli insegnamenti di Gesù e si sforza di metterli in pratica nella sua vita, diffondendo e insegnando il Vangelo in qualche maniera. I discepoli sono incredibilmente importanti, perché è grazie a loro che altre persone giungono a conoscere Gesù e la salvezza. È grazie a loro che il Cristianesimo si diffonde e il Vangelo è predicato su tutta la terra.
Il percorso del discepolato
Quando Gesù dice di rinunciare a tutto quello che avete,[1] o come in altre traduzioni “chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (CEI); oppure “chi non rinunzia a tutto quel che possiede non può essere mio discepolo” (TILC), parla di stabilire delle priorità.
Come principio, rinunciare ai propri beni, privarsene, abbandonarli, è solo una questione di priorità. A cosa si dà la precedenza, a Dio o alle cose? Come discepoli, determinati ad amare Dio con tutto il cuore, l’anima e la mente, Lui ha la nostra priorità. Non le cose, non la casa, né il denaro o gli investimenti; solo Dio.
Gesù non chiese a tutti quelli che volevano essere suoi discepoli di lasciare fisicamente tutti i loro beni terreni. Giuseppe d’Arimatea era ricco ma era anche un discepolo. Dal fatto che fosse definito tale, si può concludere che mettesse al giusto posto i suoi beni materiali rispetto a Dio. Fu questo Giuseppe che provvide alla tomba di Gesù e usò la sua posizione e la sua influenza per chiedere a Pilato di consegnargli il corpo per la sepoltura.
D’altra parte, al giovane ricco Egli rivolse una chiamata diversa:
«Ti manca ancora una cosa: vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, udite queste cose, si rattristò grandemente, perché era molto ricco. Allora Gesù, visto che si era molto rattristato, disse: «Quanto è difficile per coloro che hanno delle ricchezze entrare nel regno di Dio!»[2]
Perché? Perché spesso, quando si possiedono delle ricchezze, è più difficile dare a esse la giusta priorità rispetto a Dio, specialmente se Lui chiede di rinunciarci completamente, o di condividerle con altri. Il giovane ricco non voleva rinunciare alle sue ricchezze e rendendosene conto si rattristò. I suoi beni avevano la precedenza.
Rinunciare, abbandonare, sacrificare, comporta tutto la rinuncia a una rivendicazione di proprietà dei propri beni materiali a favore di Dio. Essi diventano suoi e noi ne diventiamo solo custodi. Se ci chiede di lasciarceli alle spalle per seguire il cammino di discepolo, lo facciamo, perché Dio è il legittimo proprietario di ogni cosa. Un discepolo è fedele nei confronti di Dio, non delle cose. La sua fedeltà è alla chiamata che Dio gli rivolge.
Quando Gesù dice “seguimi”, si rivolge direttamente a te. Il percorso che ti chiede di seguire è il tuo cammino di discepolo. È un cammino individuale e ogni seguace di Gesù ne ha uno esclusivamente suo. Per il giovane ricco, il cammino che Gesù gli chiedeva di seguire era di vendere tutto quello che aveva. Il cammino di un altro sarebbe stato di conservare i suoi beni materiali e seguire Dio in maniera diversa. Il principio è che il discepolo appartiene a Dio, è fedele nei suoi confronti e lo ama tanto da fare ciò che gli chiede.
Uno dei principi del discepolato è amare Dio tanto da essere disposti a fare quello che dice, qualunque ne sia il prezzo. Questo prezzo potrebbe variare a seconda degli individui; così, quando Gesù dice “chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo”,[3] parla della nostra croce, della croce personale che ognuno di noi deve portare. La chiamata è rivolta a noi; la nostra volontà di portare la croce si riflette nella nostra prontezza a dichiarare suprema fedeltà a Dio e alla sua chiamata. Quando dice “seguimi”, ci chiede di metterci nelle sue mani, di dargli assoluta priorità, di rinunciare a essere padroni di noi stessi, di assumere il posto giusto in relazione a Lui, che è il supremo sovrano. Gesù indicò la giusta priorità quando disse:
Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.[4]
Capire il principio di amare Dio e osservare la sua Parola, e la posizione che Dio merita in rapporto agli amori di questa vita e ai nostri beni, ci offre un principio guida che può aiutarci nelle decisioni che ci troviamo regolarmente ad affrontare nella vita. Il principio fondamentale è che Dio – il nostro Creatore, il nostro Salvatore e lo Spirito che dimora in noi – chiede e merita il nostro amore, la nostra dovuta fedeltà e il giusto posto nella nostra vita. Il discepolato comincia da questo. Il primo passo che facciamo sul cammino del discepolato è amare Lui.
Pubblicato originariamente nell’ottobre 2011. Adattato e ripubblicato in Inglese il 23 febbraio 2015.