Steve Hearts
Da come la vedo io, ci sono vari tipi di solitudine e si possono distinguere dalle circostanze in cui si vengono a conoscere. Uno è il tipo che sperimentiamo momentaneamente quando sfuggiamo alla baraonda della vita e ci rifugiamo in un posto tranquillo e silenzioso per pregare, meditare, o semplicemente goderci la pace dell’ambiente che ci circonda prima di ritornare al solito tran tran. Questo tipo di solitudine è sempre piacevole. Un altro tipo è quello causato dalla perdita del rapporto con una persona. Spesso dura più a lungo del precedente ed è ovviamente il più doloroso e spiacevole dei due.
Quando si perde la compagnia fisica di una persona, le sensazioni di vuoto, dolore e solitudine spesso ci travolgono. Queste osservazioni non si basano su esperienze di seconda mano, tutt’altro; ho provato in prima persona questa perdita e la conseguente solitudine. È stata dolorosa? Ovviamente! Ma a causa di questa perdita, è drasticamente migliorato il mio rapporto con la persona che può aiutarci a superare il nostro dolore meglio di chiunque altro.
Come hanno detto, “la morte fa parte della vita”. L’ultima volta che ho sperimentato la perdita di una relazione, all’inizio mi è sembrato di morire. Il mio cuore si sentiva come un terreno da cui è stato sradicato un albero: vuoto e ferito. Con il tempo, però, l’opera del capo giardiniere si è manifestata chiaramente e nella mia vita sono nati frutti nuovi. È diventato chiaro che questo avvenimento apparentemente tragico veniva usato come uno strumento nelle mani del Creatore, per realizzare la sua volontà e il suo piano perfetto.
Il primo passo nel processo di guarigione è stato imparare a rendere grazie durante tutta questa circostanza penosa. Quando il Signore mi ha chiesto di farlo, la mia mente naturale l’ha giudicata una cosa impensabile. Lui però m’ha incoraggiato a vederla come una terapia per l’anima. Mi ha spiegato che anche se all’inizio lo sforzo sarebbe stato grande, a lungo andare avrebbe portato la guarigione di cui avevo bisogno. Così ho cominciato a lodare Dio energicamente e con mia sorpresa i risultati sono stati immediati. La mia sensitività spirituale e la mia connessione con Dio sono aumentati a passi da gigante. Mi sono ritrovato a ignorare il dolore. La voce del Signore dentro di me si faceva sentire molto più chiaramente.
Non mi ci è voluto molto per capire che nei giorni prima di quell’avvenimento doloroso mi ero allontanato considerevolmente dal mio primo amore, mentre inseguivo una relazione puramente fisica. Ma la ricerca di un rapporto più intimo e profondo con Gesù, provocata dalla rinuncia alla relazione fisica, ha portato dei cambiamenti che speravo da molto tempo, ma che non ero stato in grado di ottenere. Ho cominciato ad avere una comunione più stretta con Colui che capiva veramente il mio dolore e si preoccupava di quello che stavo soffrendo. Ho imparato di nuovo l’arte perduta di ascoltare la sua voce nei miei pensieri e di rispondergli. La solitudine che temevo mi avrebbe divorato fu invece lavata via dall’amore meraviglioso di Gesù.
Conversare con Lui mi ha fornito la guarigione e la comprensione di cui avevo tanto bisogno. Ho potuto scoprire di più a proposito dei doni spirituali e questo ha aperto delle porte per essere di maggiore utilità al Signore, perché gradualmente sono diventato (e sto ancora imparando a farlo) uno strumento del suo amore, della sua guarigione, della sua consolazione e della sua salvezza per gli altri.
Mi sono anche sentito ispirato a dissotterrare il mio talento sepolto di compositore di canzoni. Nel mio cuore sono nate canzoni di confessione, gratitudine e devozione, che sono servite anche a incoraggiare altri.
Da piccolo avevo sentito spesso la storia della bambina che aveva una collana di perle false che le piaceva moltissimo. Un giorno suo padre le chiese di gettarla nel fuoco, senza darle spiegazioni. La bambina ubbidì, anche se per lei fu un grande conflitto. Suo padre poi le regalò una collana di perle vere e la sua tristezza momentanea fu rapidamente sostituita dalla gioia. La mia è stata un’esperienza simile, perché ho imparato a lasciarmi indietro la relazione che avevo cercato così ardentemente, per cercarne invece una più reale con il vero amante della nostra anima.
Anche se non riesco a vedere il quadro completo che Dio sta dipingendo, posso certamente identificarmi con lo scenario citato nel libro “Il rifugio”, cioè che, anche se apparentemente complessa e a volte difficile da capire, la mia vita è un “frattale vivo”, disegnato da un Creatore vivo. Quando osservo le cose da una prospettiva di fede, la solitudine si rivela una benedizione enorme, nonostante il dolore che provoca. Grazie a essa sono arrivato a capire veramente che sono tutt’altro che solo.
Queste parole riassumono correttamente le esperienze che ho condiviso qui:
Egli è tutto ciò di cui ho bisogno
Chiesi a Dio la forza, per raggiungere i miei obiettivi
ma Lui mi rese debole, perché potessi imparare umilmente a ubbidire.
Chiesi a Dio la salute, per fare grandi cose,
ma Lui mi diede l’infermità, perché facessi cose migliori.
Chiesi a Dio le ricchezze, per essere felice,
ma Lui mi rese povero, perché potessi essere saggio.
Chiesi a Dio la forza, per avere la lode degli uomini,
mi fu data la debolezza, perché sentissi bisogno di Lui.
Chiesi a Dio ogni cosa, per potermi godere la vita,
mi fu data la vita, perché potessi godere di ogni cosa.
Non ottenni nulla di ciò che chiesi, ma tutto ciò che avevo sempre sperato.
Quasi a dispetto di me stesso le mie preghiere più intime ricevettero risposta.
E oggi sono fra gli uomini il più ampiamente benedetto.
—Scritta da uno sconosciuto soldato confederato durante la Guerra Civile Americana (1861—1865)
Titolo originale: Richly Blessed. Tradotto da A. Maffioli e S. Marata.
Pubblicato sull’Ancora il 7 maggio 2014.