Johann Christoph Arnold
Più di quanto avvenisse in precedenza, le persone si sentono sole. Anche se non fisicamente separate dagli altri, sono certamente più isolate emotivamente. Questa è una delle grandi maledizioni dei nostri tempi: le persone sono sole e isolate, la depressione dilaga, più matrimoni che mai non riescono a funzionare e molte vite sono marcate da un diffuso senso di inutilità. Perché siamo qui sulla terra? Credo che la risposta a questa domanda si possa scoprire solo quando cominciamo a trovarci gli uni gli altri — anzi, più che altro, trovare Dio.
Ognuno di noi deve trovare Dio, dato che la nostra relazione “verticale” con Lui è sempre un fattore decisivo per i nostri rapporti umani “orizzontali”. Ma che cosa significa trovare Dio?
A volte sembra che la parola “preghiera” porti con sé un bagaglio troppo religioso; è consunta per l’uso eccessivo che ne fa troppa gente. È diventata un dovere che la gente si sente costretta a compiere, quindi perfino un peso al quale ribellarsi. Personalmente, non vedo la preghiera come un dovere, ma come un’opportunità di presentarmi davanti a Dio e parlargli delle mie preoccupazioni, dei miei bisogni e della mia felicità, o della mia gratitudine. In questo senso, la preghiera è semplicemente una conversazione con Dio, una cosa che chiunque può fare.
La preghiera può essere un rito che comporta un versetto scritto, un libro di preghiere, un certo posto e un certo momento del giorno, o perfino una posizione particolare del corpo. O può non avere nessuna forma, ma essere semplicemente una posizione del cuore.
Per la maggior parte di noi, il silenzio e la solitudine sono i punti di partenza più naturali per trovare Dio e comunicare con Lui, dato che entrambe le cose comportano il mettere da parte le distrazioni esterne e svuotare la mente e il cuore da faccende irrilevanti. È come se Dio entrasse nella stanza per parlare con noi, così dobbiamo alzare gli occhi da quel che stavamo facendo per riconoscere la sua presenza prima che la conversazione possa iniziare. Per altri di noi, l'atto di presentarsi in silenzio a Dio non è solo una preparazione per la preghiera, è la preghiera. Una simile conversazione è come il dialogo silenzioso tra una copia, o tra due qualsiasi persone che si conoscono così bene da poter comunicare senza parole.
Naturalmente una vera conversazione è fatta di suoni e di silenzi, dare e ricevere, parlare e ascoltare. Tuttavia è chiaro che Dio non desidera chiacchiere egocentriche: sa di che cosa abbiamo bisogno ancora prima di chiederglielo. E se non facciamo silenzio dentro di noi, come potremo sentire qualcos’altro tranne la nostra voce? Lui non richiede nemmeno lunghe petizioni prolisse. Se il nostro cuore è veramente rivolto a Lui, uno sguardo verso l’alto o un sospiro sincero, un attimo di silenzio o una canzone gioiosa, una supplica tra le lacrime o un pianto angosciato possono funzionare tutti nello stesso modo. Ognuna di queste cose può costituire una preghiera tanto quanto qualsiasi quantità di parole accuratamente scelte. A dire il vero, potrebbero esserlo ancora di più.
Ci sono molti modi di pregare. Una signora mi ha detto che si visualizzava in preghiera come “un uccellino dentro il nido, con il capo teso verso l’alto e una bocca smisurata spalancata, affamata e bramosa di ricevere qualunque cosa mio padre voglia infilarci. Senza far domande, senza dubitare, senza preoccuparsi, solo in attesa di ricevere e assolutamente grata”.
Vemkatechwaram Thyaharaj, un amico indiano, dice:
Io prego in silenzio. Tuttavia, pur essendo cresciuto come un bramino indù, non mi rivolgo a un essere astratto, ma al Creatore biblico dell’universo e dell’uomo — Dio Padre. Lui non è distante dalla sua creazione poiché Cristo l’ha portato giù, vicino all’uomo. È Lui che prego… Molto spesso vado a pregare in luoghi solitari. In quei momenti sento quel tocco divino e invisibile che dona potenza e vita al mio corpo e alla mia anima. Vero, è sempre uno sforzo alzarsi dal letto presto, prima dell’alba; ma questa è la mia abitudine: sedermi la mattina presto alla presenza di Dio quando medito e prego. In quei momenti il mio cuore si riempie di pace e di una gioia inspiegabile.
Vemkatechwaram accenna a un aspetto importante della preghiera sincera: in quanto è una conversazione, non è un vago modo d’essere, ma qualcosa che si muove o ha luogo tra due o più persone, anche senza parole.
Secondo il padre della chiesa Tertulliano, la preghiera è anche più del semplice dirigere emozioni o sentimenti verso Dio. Significa sperimentare la sua realtà come una forza.
La preghiera ha la forza di trasformare i deboli, guarire gli ammalati, liberare gli indemoniati, aprire le porte delle prigioni e sciogliere i legami che costringono l’innocente. Inoltre, lava via le colpe e allontana le tentazioni. Spegne le persecuzioni. Consola gli spiriti abbattuti e stimola quelli di buon umore. Scorta i viaggiatori, calma le acque e lascia esterrefatti i rapinatori. Nutre i poveri e governa i ricchi. Rialza chi è caduto, impedisce ad altri di cadere e rinforza chi sta in piedi.
Tertulliano si riferisce alla preghiera anche come alla “fortezza della fede” e allo “scudo e arma contro il nemico”. E Paolo, nella sua lettera agli Efesini, ammonisce i suoi compagni cristiani a indossare “l’intera armatura di Dio” e quindi procurarsi l’aiuto del Creatore stesso nei momenti di prova.1
Per quanto queste metafore possano essere valide, è bene ricordare che, anche se la potenza di Dio può proteggerci, difenderci e consolarci, è anche una potenza davanti alla quale a volte dobbiamo tremare. Specialmente dopo qualche nostra mancanza o errore, l’atto di presentarci a Dio in preghiera e presentargli le nostre debolezze vuol dire sottoporci alla sua luce brillante e vedere il nostro vero stato di squallore.
Il nostro Dio è un fuoco consumante e la mia sporcizia crepita tra le fiamme quando Lui mi afferra; è luce assoluta e la mia oscurità si rinsecchisce tutta davanti a quel fuoco. È questa fiamma pura di Dio che rende così terribile la preghiera. Poiché la maggior parte delle volte possiamo convincere noi stessi di essere sufficientemente buoni, almeno quanto il nostro vicino, e forse migliori di lui, chissà. Poi ci mettiamo in preghiera —una preghiera vera, senza riserve — e dentro di noi non rimane niente, nessun terreno su cui restare in piedi. —Suor Wendy Beckett
Visto il riconoscimento da parte di Suor Wendy del contrasto tra l’Onnipotente e un misero essere umano, uno potrebbe giustamente chiedersi: “Dio mi risponde sul serio, o la mia preghiera si limita a farmi abituare alla scomodità della mia situazione?” In effetti ci sono degli scettici che pensano che la preghiera sia semplicemente un forum per mettere in ordine i nostri sentimenti, e altri che dicono: “Non voglio altro che la volontà di Dio e Lui può darmela anche senza preghiere”.
Non ho risposte semplici a questi enigmi, ma ciò non significa che le risposte non esistano. Da quel che posso vedere, è questione di rapporti. Se rivendico Dio come Padre, devo poter essere in grado di parlargli quando mi trovo nei guai. E prima ancora, deve esserci un rapporto attivo tra me e Lui, almeno quel che basta per sapere dove posso trovarlo.
Avendoci dato il libero arbitrio, Dio non s’impone su di noi. Ha bisogno che gli chiediamo di operare nella nostra vita, prima di intervenire. Dobbiamo volere la sua presenza, desiderare disperatamente il cibo interiore che Lui può fornirci. Come in quei disegni sui muri delle catacombe romane, dobbiamo alzare gli occhi e le braccia a Dio, non semplicemente in attesa di Lui, ma protendendoci verso l’alto per trovarlo e ricevere quello che vuole darci.
In questo senso, pregare è più che parlare con Dio. La preghiera ci dà l’opportunità di riconoscere la volontà divina venendo in contatto diretto con Lui. Ci permette di chiedere a Dio qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno, compreso giudizio, misericordia e la grazia di cambiare la nostra vita. Come ha scritto Henri Nouwen, è perfino “una questione rivoluzionaria, perché, una volta iniziato, metti in ballo tutta la tua vita”.
Il messaggio più notevole al centro del Nuovo Testamento è l’amore messo in pratica. E ne vediamo degli esempi nei suoi seguaci che, nonostante i difetti umani, diffusero il vangelo dell’amore. L’apostolo Paolo, che in precedenza aveva perseguitato i cristiani, divenne una delle figure più imponenti del cristianesimo. Nelle sue preghiere raramente chiede a Dio le cose per cui noi preghiamo più spesso: sicurezza, guarigione fisica e benedizioni materiali. È più interessato alla forza di carattere, alla saggezza e al discernimento, all’amore e al sacrificio, alla conoscenza personale di Dio e alla potenza spirituale, al coraggio nel diffondere il Vangelo, alla sopportazione e alla salvezza. E a differenza di molti cristiani moderni, le sue preghiere non sono desideri egoistici espressi soltanto per sé o per le persone a lui più care. Sono fatte per il mondo intero.
Si son scritte migliaia di pagine sul Padrenostro. Credo che gran parte della sua potenza stia nella sua brevità e nella sua semplicità. Quando abbiamo agito con troppa fretta o abbiamo offeso lo Spirito d’amore, dobbiamo chiedere perdono. Nell’ora della tentazione dobbiamo chiedere di essere guidati al sicuro e dobbiamo essere curati e protetti giorno dopo giorno. Soprattutto, abbiamo bisogno che lo Spirito Santo riempia il nostro cuore e ci cambi fin dalle basi. Perché succeda questo, dobbiamo chiedere: “Sia fatta la tua volontà”. E dobbiamo intenderlo sul serio.
Johann Christoph Arnold è un famoso scrittore e oratore sulla questione del matrimonio e della famiglia, dell’istruzione e della risoluzione dei conflitti personali. È un pastore anziano nelle comunità Bruderhof e funge anche da cappellano nell’ufficio dello sceriffo locale. I suoi libri sono stati tradotti in oltre venti lingue. © Copyright 2011 The Plough Publishing House. Usato con il permesso dell’autore.
1 Efesini 6,11.
Titolo originale: Prayer Dimensions
Pubblicato originariamente sull'Ancora in Inglese il 27 settembre 2013.
Letto in Inglese da Jon Marc.
Versione italiana affissa il 14 novembre 2013.