Discepoli per la vita

Ottobre 18, 2013

di Peter Amsterdam

Essere discepoli non è facile. Non lo è mai stato. Gesù lo rese chiaro fin dall’inizio, quando disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo. Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la ritroverà. Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli”.1

Niente di tutto questo è facile, ma questo è il discepolato come l’ha descritto Gesù.

In un certo senso, essere discepoli è un po’ come fare sport da professionista. Molte persone, per esempio, giocano a pallacanestro. Alcuni fanno qualche tiro al cesto ogni tanto, altri giocano con gli amici o fanno qualche partitella informale, altri giocano nel campionato dilettanti e alcuni — molto pochi — sono dei professionisti. Sono tutti giocatori di pallacanestro, ma non tutti sono professionisti. Qual è la differenza? Per la grande maggioranza è solo un gioco e un modo di fare esercizio fisico, qualcosa da fare nel tempo libero. Per gli atleti professionisti il loro sport preferito è una ragione di vita.

Per essere professionisti bisogna dedicare tutto al proprio sport. La loro giornata lavorativa consiste tutta di allenamento, pratica, gioco o trasferte. Nella stagione morta continuano ad allenarsi, a fare muscoli, a correre e mantenersi in forma. Non fumano, non bevono troppo e non abusano del loro corpo, perché, se lo facessero, ciò influenzerebbe la loro capacità di giocare. Devono stare lontani dai loro cari quando sono in trasferta in altri posti per giocare. Giocano per una squadra. Indossano un’uniforme. Ci sono eventi a cui sono tenuti a partecipare. Sono tenuti a mantenersi in forma e a lavorare duro per migliorare le proprie capacità; se non lo fanno, l’allenatore se la prende con loro e li fa sgobbare. Se causano costantemente problemi nella squadra, o se le loro prestazioni sono costantemente scarse, di solito sono mandati via o venduti a un’altra squadra. Se non rispettano le regole, sono multati, sospesi o licenziati.

Allora perché gli atleti professionisti lo fanno? Solo per la fama e/o i soldi? Credo che lo facciano perché gli piace giocare. Ci sono altri benefici e altri vantaggi — come la fama e i soldi — ma credo che per la maggioranza lo facciano perché gli piace giocare. Sono disposti a sopportare una vita regimentata, la severità degli allenamenti e il sacrificio di non poter fare alcune cose che gli altri fanno, perché amano il gioco.

Perché uno sceglierebbe di essere un discepolo? Perché sopportare tutte le cose che ci si aspettano da un discepolo? Perché fare i sacrifici richiesti dal discepolato? Perché amiamo il Signore. Il nostro amore per Lui ci fa vivere la vita del discepolo — e non è facile. Non siamo cristiani occasionali; lo siamo per la vita.

Per molti di noi il servizio cristiano è la nostra professione. È la nostra attività. È quello per cui viviamo. Come professionisti, dobbiamo mantenerci in forma, aumentare le nostre abilità e sottometterci al nostro Allenatore, proprio come gli atleti professionisti.

Il fatto è che essere cristiani professionisti ha molti requisiti. Ci si aspetta molto da noi. Spesso è difficile, comporta sacrifici, ma per essere discepoli bisogna farlo, e la cosa non cambierà. Non solo è stato alle fondamenta della Famiglia fin dall’inizio, è proprio lì nelle parole di Gesù nella Bibbia.

Come discepoli, dobbiamo renderci conto che ci sono alcune cose che semplicemente non fanno bene al nostro spirito. Magari ci piace farle, magari vogliamo farle, ma siccome siamo cristiani e discepoli, facitori della Parola, dovremmo scegliere di non fare le cose che ci fanno male.2

Nessuno di noi è perfetto; abbiamo tutti delle colpe e commettiamo tutti dei peccati. Per ognuno di noi ci sono cose che ci piace fare ma che non ci fanno bene, che non ci aiutano nel nostro servizio per il Signore. La domanda a cui ognuno di noi deve rispondere è che cosa fare di quelle cose. Se sappiamo che non ci edificano, se ci annebbiano spiritualmente, se ci fanno male fisicamente, se non sono una forza positiva nella nostra vita, se la Parola ci dice che non ci fanno bene, allora dobbiamo fare una scelta. Continuiamo a farle lo stesso, o cerchiamo di non farle?

Come discepoli, dovremmo impegnarci a non fare quelle cose. Cercare di vivere secondo il codice di discepolato specificato da Gesù nella sua Parola a volte significa non poter fare alcune cose che ci piacerebbe fare. Fa parte del discepolato.

L’inflessibilità ha il suo posto quando si tratta di certi punti assoluti. Per esempio: la salvezza eterna. È un punto assoluto. Ma non tutto lo è. Parte del problema consiste nel fatto che è più facile essere rigidi, vedere le cose bianche o nere, senza alcuna gradazione intermedia di grigio. Se segui quella strada, è facile giudicare le situazioni; è facile dire cos’è giusto e cos’è sbagliato. Il problema è che molte cose nella vita non sono tanto semplici. Di solito c’è molto grigio in quasi tutte le situazioni e ci vogliono saggezza, preghiera e consiglio per giudicare nella maniera giusta. Ci vogliono anche più tempo e più lavoro, perché bisogna fermarsi, esaminare la situazione o la domanda, poi pregare, consigliarsi e ascoltare il Signore. Tutto ciò è necessario per prendere decisioni buone e complete; non è facile.

Conosco persone che si sono fissate su certi siti web e certe attività in rete e hanno passato una quantità di tempo eccessiva su questi siti. Hanno fatto le ore piccole facendo giochi al computer, visitando siti porno, o sprecando il loro tempo navigando senza alcun senso preciso. L’hanno fatto notte dopo notte, anche se poi voleva dire non essere in forma il giorno dopo perché erano troppo stanche. Tutta via la sera dopo erano ancora lì, ubriacandosi d’internet un’altra volta.

L’internet in sé non è un problema; è il suo abuso che causa problemi. Quello che è sbagliato è lo spreco di tempo, sono i contenuti negativi, la dipendenza, i siti non edificanti. Diventa nocivo quando ti distoglie dal comportarti da discepolo, dal preoccuparti per gli altri, dal mantenere un rapporto stretto con il Signore, perché porta via gran parte del tuo tempo o ti riempie delle cose del mondo. Ovviamente l’internet può essere utile e divertente, non tutto è negativo. Ma può essere malsano spiritualmente, se ci si passa troppo tempo o se si visitano siti che non fanno bene.

Tutti commettono degli errori, tutti peccano, tutti fanno cose sbagliate o stupide di tanto in tanto, perché siamo tutti esseri umani. Non stiamo cercando di raggiungere la perfezione personale e non dovremmo aspettarcela nemmeno dagli altri. Se lo facciamo, mettiamo pesi irrealistici su di noi e sugli altri.

D’altra parte, siamo una fede, una religione, un movimento su base missionaria. Siamo un gruppo di discepoli e siamo qui per fare un lavoro; e per farlo dobbiamo impegnarci a restare in forma spiritualmente. Se volete una libertà totale di fare tutto quello che volete, quando lo volete e quanto volete, allora il discepolato cristiano potrebbe non fare per voi. Se la libertà totale è il vostro obiettivo nella vita, allora dovreste rendervi conto che ci sono dei requisiti spirituali per i discepoli: ci sono cose che il Signore si aspetta da noi e che come cristiani  dobbiamo rispettare.

Per cambiare questo fatto ed eliminare le regole, dovremmo buttare via la Bibbia. Dovremmo sbarazzarci di versetti biblici come: “non amate il mondo né le cose che sono nel mondo”, o “uscite di mezzo a loro e separatevene e non toccate nulla d’impuro”, o “chi vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio”.3

In questo mondo moderno che promuove le libertà personali, alcuni pensano che la fede e la religione cristiana dovrebbero permettere alla gente di fare più o meno quello che vogliono, che non dovrebbero esserci restrizioni e che, anche se qualche cosa è spiritualmente o fisicamente cattiva per loro, dovrebbero essere capaci di discernere se per loro va bene o no, tirando in ballo “vi sia fatto secondo la vostra fede”4

Secondo la Bibbia che ho letto io, sembra che Dio pensi che la gente abbia bisogno di regole e indicazioni per il tipo di vita che deve seguire. ne ha messe un bel po’ nella Bibbia. Penso che sappia che se non ci fossero regole o linee guida, ci allontaneremmo un bel po’ da Lui.

Gesù visse sulla terra. Era un uomo e provò le stesse cose che proviamo noi.5 E forse è per questo che ha chiesto ai suoi fedeli di tutte le epoche di seguirlo da vicino, perché sa come possono essere tentatrici e ingannatrici le cose del mondo. Ai suoi discepoli disse: “Siete nel mondo, ma non del mondo”.6 Chiaramente voleva che i suoi discepoli non fossero del mondo. “Vi ho scelto dal mondo”.7

Come religione, noi crediamo nel “ritrarci dal male e fare il bene”.8 Vogliamo prendere le cose buone e usarle in maniera responsabile. Alcune di quelle cose, però, se utilizzate male, non sono più buone e possono essere cattive o dannose, per noi o per gli altri.

Come discepoli, ci viene chiesto di minimizzare le cattive influenze nella nostra vita, perché le cose empie non ci fanno bene spiritualmente. Come discepoli dovremmo fare del nostro meglio per restare entro i confini che il Signore ci ha dato. Dovremmo avere la convinzione di fare le cose che il Signore ci ha chiesto. Comunque, nessuno è perfetto e ci sono momenti in cui tutti inciampiamo. Se però disubbidiamo costantemente, se manchiamo intenzionalmente di rispettare i limiti spirituali, o se qualche attività ha una forte influenza su di noi oppure ci crea dipendenza e rifiutiamo di smetterla, allora diventa un problema e crea danni alla nostra vita spirituale.

L’uomo è nato nel peccato e il peccato — fare le cose sbagliate — è parte integrante della natura umana. Tutti peccano; tutti fanno cose sbagliate, anche i cristiani, anche i discepoli. Il lato positivo è che grazie a Gesù riceviamo il perdono. Quando facciamo quelle cose sbagliate, quando pecchiamo, il nostro peccato può essere cancellato dal sacrificio di Gesù sulla croce. È una cosa meravigliosa. Ma quel perdono non significa che dovremmo evitare di fare lo sforzo di non peccare. Non ci dà il permesso di fare quello che vogliamo, quando lo vogliamo, anche se arreca danno. Non significa che possiamo fare le scelte sbagliate, deliberatamente, consapevolmente e ostinatamente.9

Come religione, come fede, abbiamo dei diritti, delle responsabilità e delle regole. Fa parte della nostra responsabilità di discepoli.

Sì, il Signore vuole che ci divertiamo. Vuole che abbiamo momenti di ricreazione e di relax, ma la nostra chiamata non è quella, non è quello che ci siamo impegnati a fare. Siamo discepoli. Siamo cristiani che prendono sul serio il loro impegno davanti a Dio. Ci siamo impegnati a raggiungere il mondo con il suo messaggio, a vivere la sua Parola, a essere esempi viventi del discepolato cristiano, ad amarlo con tutto il cuore, la mente, l’anima, il corpo e la forza. È questo che vuol dire essere discepoli.

Come migliaia su migliaia di altri cristiani in tutto il mondo, io m’impegno nel discepolato. È quello che faccio, è quello che sono, è quello per cui vivo, è quello per cui morirò. Se domani il Signore mi mandasse in un posto dove non ci sono film, né internet, né musica, né piaceri della vita, continuerò a servirlo, perché lo amo e perché è quello che mi sono impegnato a fare.

Il discepolato richiede uno standard elevato nello spirito e nel comportamento. Come discepoli, a volte bisogna andare avanti anche quando sembra che tutto e tutti si oppongano, quando ci si sente così giù che non si vede come si possa durare un altro minuto.

Il discepolato non è uno stile di vita facile. È molto gratificante, ma a volte è molto difficile. Perfino ai giorni di Gesù, quando le cose si fecero difficili e il messaggio impegnativo, “molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui”.10 Quando Gesù chiese ai Dodici se volevano andarsene anche loro, Pietro rispose brevemente: “Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna. E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.11

Questo è quello che crediamo: che Gesù è il Figlio di Dio e che ci ha chiamato a servirlo come discepoli, qualunque sia il prezzo che ci chiederà. Questo è l’impegno, questo è il lavoro, questa è la professione. E noi siamo orgogliosi di farlo perché ce l’ha chiesto Gesù, che è il nostro Re, Salvatore, miglior amico e Sposo.


1 Luca 14,26.33; Matteo 16,24–25; Giovanni 8,31; 13,35.

2 Giacomo 1,22.

3 1 Giovanni 2,15; 2 Corinzi 6,17 NR; Giacomo 4,4.

4 Matteo 9,29.

5 Ebrei 4,15.

6 Giovanni 17,14–18.

7 Giovanni 15,19.

8 1 Pietro 3,11.

9 Romani 14,13–22.

10 Giovanni 6,66.

11 Giovanni 6,68–69


Titolo originale: Discipleship for Life
Pubblicato originariamente nell'Aprile 2002.
Aggiornato e ripubblicato in Inglese il 19 Agosto 2013.
Letto in Inglese da Simon Peterson.

versione italiana affissa il 18 Ottobre 2013;
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