Nicholas T. Wright
[Un discorso ispirante di N. T. Wright, vescovo della Chiesa d’Inghilterra e teologo, sulla speranza per la vita cristiana.]
Mi hanno chiesto di parlare della speranza, questa mattina. È una cosa su cui ho scritto molto e su cui ho pensato, riflettuto e dibattuto un bel po’. Penso che sia un argomento particolarmente interessante per noi, in questo momento, in questa generazione.
Abbiamo avuto dei momenti molto difficili nella cultura occidentale; molte persone, tra cui molti giovani, oggi si chiedono dove si andrà a finire. Che speranza c’è? Uno dei segni di speranza più deprimenti nella nostra cultura è il tragico aumento dei suicidi tra i giovani. Probabilmente lo sapete tutti per esperienza. Alcuni di voi sanno di qualcuno più o meno vicino a loro che ha appena sentito che non valeva la pena di vivere, che non c’era speranza, niente in cui sperare. Quando ci guardiamo intorno, lo vediamo in tanti campi diversi della nostra cultura. Lo vediamo nelle istituzioni politiche. Penso che oggi degli osservatori affidabili direbbero che la nostra democrazia occidentale ha dei seri problemi. La prendiamo per scontata, ma sta veramente rispettando le promesse fatte duecento anni fa, quando le nostra grandi istituzioni politiche furono stabilite? Lo vediamo sulla scena mondiale. A che cosa serve l’ONU? Funziona veramente, sta facendo quello che dovrebbe? Come possiamo organizzarci nel nostro villaggio globale sempre più ristretto, ma in un mondo sempre più pericoloso?
Lo vediamo, naturalmente, anche nell’aumento del terrorismo globale, perché ogni volta che si sale su un aereo ci sono misure di sicurezza sempre maggiori. Si può ignorarlo, oppure dire: “Aspetta, c’è davvero una ragionevole possibilità che ci saranno più atrocità e che noi e tutte le persone che conosciamo ne resteremo coinvolti”. Non avevamo di questi pensieri negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso. Ci occupavamo delle nostre faccende in maniera piuttosto serena. Siamo diventati un mondo logoro, preoccupato e ansioso.
C’è la questione dei cambiamenti climatici, la questione se il nostro mondo avrà lo stesso tipo di ambiente che abbiamo sempre conosciuto, o se si deteriorerà e altre specie scompariranno, eccetera. Poi c’è una quantità enorme di problemi personali di vita e di morte — questioni sull’inizio e sulla fine della vita. Siamo preoccupati per cosa dire dell’aborto, della clonazione, dell’eutanasia.
E cosa dire delle nuove tecnologie? Non vi chiederò di alzare la mano per sapere quanti di voi hanno una pagina su Facebook o quanti amici avete, ma è successo qualcosa ai rapporti umani a causa della tecnologia di oggi. Io uso il Blackberry e mando sms alla gente, ma finora ho resistito all’uso di Facebook e altre cose del genere. Che cosa sta succedendo a noi come società? La tecnologia ci aiuta, o sta solo aumentando la nostra ansia?
Poi ci sono tante questioni sulla bellezza, sulla natura dell’estetica – un’infinità di cose di cui potremmo discutere. Gran parte della nostra cultura e di ciò che gli artisti cercano di esprimere in realtà è confusa e disorientata e non sa parlare di speranza, se non in termini di un sentimentalismo vecchio, quasi un sogno. Poi ci sono molte altre questioni etiche che causano vera ansia alla gente.
Che cosa dice sulla speranza la Bibbia, che cosa dice la chiesa, che cosa dice il messaggio del Vangelo, in una società in cui succedono tutte queste cose — cose che in qualche modo influenzano ognuno di noi la maggior parte del tempo, se non continuamente?
Ora, naturalmente, davanti a tutti questi argomenti, alcuni cristiani direbbero: Perché mai parli di tutte queste cose? Come cristiani noi abbiamo un tipo di speranza completamente diverso, una speranza trascendentale, una speranza celeste. Speriamo che un giorno questo mondo sia tolto di mezzo, che sia buttato nella spazzatura, per così dire. Ci lasceremo alle spalle questo mondo e vivremo in uno spazio molto diverso, un posto chiamato paradiso, dove staremo con Dio, con Gesù e con i nostri cari per sempre. E allora che importa se il mondo sta andando all’inferno in fretta e per conto suo? Che importa se c’è questa storia chiamata terrorismo internazionale? Che importa quello che facciamo per tutte queste questioni particolari su come far funzionare il mondo oggi?
Questa mentalità, praticamente questo dualismo, ha caratterizzato gran parte del cristianesimo occidentale e l’abbiamo assorbito. Lo troviamo nei nostri inni tradizionali, nelle nostre pregherie, nella liturgia. È presente nel nostro immaginario. È nella cultura popolare, così che quando si parla di cristianesimo con i mezzi d’informazione, loro danno per scontato che si tratti fondamentalmente di un mezzo per assicurarsi di andare in paradiso invece che all’inferno e che sia tutto lì.
La canzone che abbiamo appena cantato mi è piaciuta, perché è un solenne rimprovero a quel tipo di dualismo. “Dio è il creatore del cielo e della terra e gli interessa quel che succede sulla terra, gli interessa che il cielo e la terra lavorino insieme”. Non sono pensati per restare separati.
Alcuni cristiani, poi, danno un’altra risposta, secondo quella che in senso lato chiameremo una tradizione liberale: “Abbiamo la nostra meravigliosa cultura occidentale, con queste istituzioni di giustizia, libertà e legge. Se le paragoniamo a quelle che le precedevano e a quello che succede oggi in altre parti del mondo, dobbiamo dire che, sì, molte cose vanno a meraviglia e dovremmo festeggiare tutti i nostri risultati”.
Comunque, è davvero sufficiente dire: abbiamo questa fantastica società occidentale e speriamo di esportarne i valori nel resto del mondo, con la forza, se necessario (come purtroppo abbiamo cercato di fare recentemente), finché da ultimo il mondo intero condividerà la nostra visione particolare, nata nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, di quello che dovrebbe essere la società?
È davvero sufficiente? È per portare questo che Gesù è morto? È davvero l’espressione del Regno di Dio? O non è purtroppo il caso che, guardandoci intorno nel nostro mondo occidentale, sì, abbiamo questa meravigliosa facciata patinata, abbiamo molte persone che fanno un sacco di soldi, abbiamo istituzioni dove possiamo votare e dove si può ottenere giustizia, ma lo stesso, perfino nella nostra società, ci sono milioni di persone che vivono in un grave stato di povertà.
La diocesi in cui ho lavorato per sette anni nel nordest dell’Inghilterra era una di quelle più povere della Gran Bretagna, con gravi problemi di disoccupazione e tutto quello che ne consegue: abuso d’alcol e di droga, obesità e tutte quelle cose. La società occidentale, così sfarzosa e appariscente, può fare molte cose ma non sembra che riesca a risolvere i problemi nel cortile di casa. Naturalmente, se guardiamo più lontano nel mondo, per noi va benissimo goderci un certo tipo di stile di vita, ma ci rendiamo penosamente conto, o per lo meno dovremmo farlo, che ci sono molte parti del mondo che rimangono nella povertà perché sono in debito con gli istituti finanziari occidentali e non hanno la speranza di pagarli.
Forse non ci riteniamo responsabili di ciò, e in un certo senso non lo siamo; comunque stiamo godendo tutti di uno stile di vita gonfiato e lussuoso, a spese di altri. Non lo sto dicendo per farvi sentire in colpa, ma solo perché è così e per dire che probabilmente non basta affermare che la speranza per il mondo sia avere un po’ più di cultura occidentale, finché un giorno raggiungeremo l’utopia.
Ma c’è qualcosa di diverso dalle due alternative che ho citato per sommi capi e che, ne sono certo, nessuno di voi accetterebbe completamente: quella dualista e quella progressista e panteista.
Invece di queste due, la Bibbia e l’antica speranza cristiana offrono un’immagine di nuovi cieli e di una nuova terra. È una cosa che non mi hanno mai insegnato mentre crescevo, ma che è proprio lì nelle Scritture. Grazie per aver letto quel passo nell’Epistola ai Romani, dei versetti che i cristiani occidentali spesso hanno ignorato quando studiavano quel libro, perché supponevano che fosse un documento che parlava del peccato e di come Dio ha mandato Gesù per risolvere i nostri peccati e permetterci di andare in cielo.
Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? (Romani 8,19-24 NR)
Il passo che abbiamo letto non sembrava pertinente, perché Paolo parla del rinnovamento dell’intera creazione, di come la creazione stessa sarà liberata dall’entropia, dal suo destino al decadimento, per partecipare alla libertà gloriosa dei figli di Dio. Ciò non significa soltanto che saremo glorificati e che anche la creazione lo sarà. Che cosa significa “glorificato”? La gloria non ha a che fare solo con posizione e prestigio, ma anche con responsabilità. Essere glorificati vuol dire avere autorità e responsabilità nei confronti di qualcun altro.
Come esseri umani siamo chiamati fin dall’inizio, in Genesi 1 e 2, a essere responsabili nei confronti della creazione, ma abbiamo rinnegato quella responsabilità, così la creazione ne ha sofferto fin d’allora e noi siamo stati trascinati giù insieme ad essa. Quando però gli esseri umani saranno redenti e ripristinati, allora l’intera creazione darà un sospiro di sollievo e dirà: meno male che vi siete dati una regolata; adesso noi, il resto della creazione, possiamo finalmente goderci in pace quello che eravamo destinati a essere.
Questa è la visione delle Scritture. La visione di Paolo ha la sua origine in passi come Isaia 11, Isaia 65 e Isaia 66, che parlano del nuovo cielo e della nuova terra. Poi, proprio alla fine della Bibbia, l’ultima scena nelle Scritture non è quella di anime salvate che salgono le scale verso un paradiso etereo, ma della nuova Gerusalemme che discende dal cielo fin sulla terra. Quella è la speranza: un cosmo rinnovato in cui il cielo e la terra sono finalmente una cosa sola. Conoscete quell’inno meraviglioso, “Questo è il mondo di mio Padre”? In realtà ne hanno riscritto alcune parti dell’ultima strofa, per una versione un po’ più politicamente corretta, ma la versione originale termina così:
Questo è il mondo di mio Padre,
possa io mai dimenticare
che pur se il male sembra più forte
è sempre Lui a governare.
Questo è il mondo di mio Padre,
la battaglia non è finita,
Gesù ch’è morto sarà soddisfatto
e la terra al cielo sarà unita.
Questa è la speranza cristiana, questo è ciò che aspettiamo. La speranza non è semplicemente che la mia anima se ne vada in un posto chiamato paradiso, ma che il mio corpo risorga dai morti. Nel Credo diciamo: “Credo nella risurrezione dei morti”, ma per la maggior parte del cristianesimo occidentale questa viene interpretata come una bella metafora per dire che quando moriremo andremo in cielo. La gente a volte pensa che forse sarà come avere un corpo, ma a molti cristiani occidentali non è mai venuta in mente l’idea che avremo qualcosa di simile a quello che abbiamo adesso, solo che sarà molto migliore, perché non hanno avuto un’idea escatologica. Non hanno avuto un’immagine del futuro divino in cui il cielo e la terra saranno insieme ed entro il quale la risurrezione del corpo avrà realmente senso. Ma è quello che promette il Nuovo Testamento, quello che ci offre.
Quando una persona che conoscete ha avuto una brutta malattia, la guardate e dite: “Poverino, è solo l’ombra di quel che era”. La buona notizia è che se siete in Cristo, se lo Spirito dimora in voi, se siete seguaci di Cristo, siete solo l’ombra di quel che sarete. La persona che siete adesso è un cartello indicatore che vi indirizza alla persona unica, meravigliosa, straordinaria e gloriosa che sarete quando verrà il momento stabilito da Dio, nel nuovo mondo di Dio. Questa è la speranza che ci è posta davanti.
Così abbiamo una speranza globale e una speranza personale. È quello che aspettiamo con ansia. Dio verrà e trasformerà questo mondo. Dio verrà e ci risusciterà dai morti oppure, se saremo ancora vivi, ci trasformerà in un attimo, in un lampo. Allora ci saranno nuovi cieli e una nuova terra, con dentro gente nuova. Ma questo da solo non basta. Da solo, questo ci porterebbe forse a dire: “Benissimo. Possiamo metterci comodi e aspettare che un giorno Dio lo faccia”. Anzi, ho sentito molte persone esprimersi così e dire che qualsiasi tentativo di trasformare il mondo adesso significa che non confidiamo veramente del dono che Dio ci farà in futuro. Ma è un errore. Il dono di Dio ci è venuto incontro attraverso Gesù Cristo.
La verità della Pasqua, la verità di Gesù risorto tre giorni dopo la sua crocifissione, non è che adesso c’è una vita dopo la morte, non è che Gesù adesso ci indica la via per andare in cielo. Non è assolutamente così. Se leggete l’ultimo capitolo di Matteo o di Marco o di Luca e gli ultimi due capitoli di Giovanni, non troverete da nessuna parte un versetto che dica: “Gesù è risorto, quindi andremo in cielo”. No: Gesù è risorto, quindi è cominciata una nuova creazione, quindi abbiamo un lavoro da fare. Lo vedete in Matteo, con il grande mandato, quando Matteo dice che Gesù risorto ci ordina di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo e così via e fare discepoli di tutte le nazioni, “insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandato”. Quello che Gesù dice immediatamente prima è: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”.
Vi dirò una cosa che la chiesa occidentale ha quasi dimenticato: i quattro grandi Vangeli all’inizio del nostro canone del Nuovo Testamento raccontano la storia di come Dio divenne Re del mondo attraverso Gesù, culminando nella sua morte per sconfiggere tutto il potere della corruzione, della decomposizione e del male, così che i nostri peccati fossero perdonati. Ma non perché lo fossero in modo da farci sentire bene, ma perché potessimo sbarazzarci di tutto ciò che andava male così che il mondo creato da Dio potesse andare bene. Ogni potere gli è già stato dato. Ce lo siamo quasi dimenticato.
Sì, Gesù detiene il potere in cielo. È asceso, così regna in alto; ma il punto dell’ascensione è che è Colui che siede alla destra del padre che comanda qui. Voi direte: “Ehi, ma su che pianeta vivi? Guarda la televisione, leggi i giornali. È chiaro che non comanda qui, altrimenti il mondo sarebbe un posto migliore”. Ah, ma abbiamo dimenticato com’è il regno di Dio, anche se Gesù passò tutto quel tempo nei Vangeli a cercare di dircelo. Il regno di Dio non è Dio che manda i carri armati e distrugge l’opposizione. Il regno di Dio arriva come un seme piantato in segreto. Il regno di Dio arriva come semi buoni seminati in un campo dove qualcuno ha cercato di seminare semi cattivi. Più e più volte nei Vangeli e negli Atti degli apostoli, il regno di Dio arriva non semplicemente come un’esperienza privata dei seguaci di Gesù, ma come una cosa che succede tramite i seguaci di Gesù nel suo mondo.
Lo vedete negli Atti. Non è soltanto un libro che spiega come sempre più gente arrivò a conoscere Gesù, come divennero cristiani e si salvarono. Parla di quello, sì, ma man mano che il libro procede, parla sempre di più di come le persone che seguono Gesù e ricevono la potenza del suo Spirito scoprono che devono presentarsi davanti a re, governanti, monarchi, tribunali e sinagoghe e dichiarare che Dio è Dio e che Gesù Cristo è il Signore. Gli Atti terminano con Paolo a Roma, che, sotto il naso di Cesare, l’uomo più potente al mondo, dichiara apertamente e senza ostacoli il regno di Dio e la maestà di Gesù.
Così la speranza cristiana non è soltanto che in futuro succederà qualcosa di meraviglioso, che anzi è molto più splendido di quanto ci hanno fatto credere. La speranza cristiana è che è già cominciato con la risurrezione di Gesù. Pensate a come ne parla il Vangelo di Giovanni. Giovanni dipinge questa scena serena nel giardino, molto intima e personale. Gesù incontra Maria e in seguito quella sera incontra i discepoli. Poi, la settimana dopo, Gesù incontra Tommaso e più tardi, vicino al lago, Gesù ha quel meraviglioso colloquio con Pietro. Rileggete quei due capitoli nei prossimi giorni e lasciatevi permeare da quel senso di una creazione nuova.
All’inizio del capitolo 20 Giovanni scrive: “Il primo giorno della settimana, la mattina presto”, e in caso non l’abbiate afferrato lo ripete nel versetto 19, “la sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana”. Be’, chi di voi studia letterature, e magari anche chi non lo fa, saprà che quando un buono scrittore ti dà una dritta del genere dovresti fermarti a pensare: “Che cosa sta veramente cercando di dire?” Il Vangelo di Giovanni fa quella bella panoramica fin dall’inizio: “In principio era la Parola”. Sappiamo che “in principio” è lo stesso modo in cui comincia il libro della Genesi. Giovanni racconta una storia che è il culmine della storia della creazione e racconta come la creazione viene soccorsa e redenta.
Che cosa succede poi? Gesù muore il venerdì, il sesto giorno della settimana, il giorno in cui in principio furono creati gli esseri umani. Il giorno in cui Ponzio Pilato lo porta fuori davanti alla folla e dice: “Ecco l’uomo!”
Questa è la vera immagine di Dio. Gesù sulla via della croce, poi il settimo giorno della settimana Dio riposa. Gesù riposa nella tomba. E poi, il mattino presto del primo giorno della settimana. Questa è la nuova creazione, è cominciato qualcosa di nuovo.
Noi che viviamo tra la Pasqua e il momento finale in cui Dio creerà i nuovi cieli e la nuova terra siamo chiamati il popolo della speranza. Siamo chiamati a essere il popolo della Pasqua, che non solo crede nella risurrezione, ma scopre, per la potenza dello Spirito, che, sia nella nostra vita personale che in ciò che siamo chiamati a fare nel mondo, la nuova creazione può avvenire ed effettivamente avviene adesso.
Uno dei miei privilegi come vescovo è stata la possibilità di vedere questo, di lavorarci, di vederne i segni e scoprire che non è una cosa imposta dall’alto. Non è una cosa che i teologi devono prima vedere e articolare, per poi insegnarla ad altre persone che gradualmente andranno a fare qualcosa. Sì, succede anche questo. Se Dio vuole, succederà grazie a quello che sono qui a fare oggi. È una cosa che succede quando dei cristiani normalissimi pregano, leggono la Bibbia, quando non aspettano che qualche grande parola autoritaria da parte della chiesa o dei teologi dia loro il permesso di farlo. Lo fanno semplicemente per conto loro nella vita di tutti i giorni.
In una delle mie parrocchie le cose vanno così male economicamente, che la maggior parte dei negozi nella via principale sta chiudendo. Non ce la fanno ad andare avanti. Ha chiuso anche la banca nella stessa via, perché lavorava con i negozi. La via aveva un aspetto orribile, metà delle vetrine erano chiuse. Molta gente nella zona aveva grandi problemi economici. Viveva di sussidi, di assistenza, in alcuni casi di furti e spaccio di droga, quindi non andava in banca lo stesso.
Che cosa ha fatto la chiesa? Alcune persone — anglicane, cattoliche e penso perfino metodiste (le tre chiese principali in quella parte della città) — hanno avuto un’idea; sono andate in banca e hanno detto: “Voi non usate più quell’edificio. Vi spiacerebbe se l’usiamo noi?” La banca ha risposto: “Che cosa avete in mente?” “Vogliamo soltanto fare qualcosa che faccia una differenza nel quartiere”. La banca gli ha concesso l’uso dell’edificio. Così ci hanno aperto un centro per l’istruzione, una cooperativa di credito, un locale dove gli anziani possono venire a farsi una tazza di tè e trovare qualcuno con cui parlare. C’è un centro per madri e bambini, eccetera. Invece di essere un segnale di decadimento e depressione nella comunità, quell’edificio è diventato un segnale di speranza. Ci sono stato due o tre volte e ho avuto la sensazione che il regno dei cieli sia proprio così, quando lo si mette in pratica. Ecco delle persone che pregano, si ritrovano in chiesa, leggono le Scritture e poi vanno fuori e le mettono in pratica. Quella comunità adesso ha un senso di speranza che prima non c’era.
Vi faccio un altro esempio. Appena fuori dalla città di Durham c’era una scuola inutilizzata perché le autorità avevano riorganizzato tutto. Non sapevano cosa farne. Anche qui qualcuno nella chiesa ha avuto la visione di aprire un centro per le persone che soffrono di gravi difficoltà d’apprendimento o difficoltà fisiche e non hanno niente che dia loro una speranza. La visione di questa persona, insieme ad altre, era di aprire un centro per persone che altrimenti sarebbero state tutto il giorno a guadare la televisione senza far niente. In questa scuola possono fare cose creative, artistiche. Imparano a usare programmi di computer e fanno diverse cose belle, disegni, oggetti e così via. Quando ci penso, una cosa che mi colpisce è che ci sono persone che soffrono di gravi disabilità fisiche e in alcuni casi anche mentali, che adesso aggiustano mobili per gli altri. La gente porta sedie rotte, tavoli rotti, oggetti rotti e queste persone li aggiustano. È un meraviglioso segnale di speranza.
Potreste dire che queste sono cose piuttosto banali, ma in realtà le comunità sane, le comunità piene di speranza, hanno simboli del genere, segnali che dicono alla gente: “Non disperatevi, qualcosa si può fare”. Quando trasferite questo a livello globale, in termini di eliminazione dei debiti per i paesi più poveri o di portare cure contro l’AIDS in parti dell’Africa che ne hanno disperatamente bisogno, sentirete la vocazione a farlo, se siete pronti ad ascoltarla, se siete pronti a essere una persona di speranza, un portatore o una portatrice di speranza.
Oh sì, il male sta dilagando nel mondo. Se cominciate a fare queste cose, scoprirete che l’unico modo di farlo è mediante la preghiera, la fratellanza, lo studio delle Scritture. Non si tratta solo di dire: “Sì, vedo cosa bisogna fare. Adesso andiamo e faremo del mondo un luogo migliore”. La vita non funziona così. I principati e le potestà reagiranno e combatteranno. Ma il Gesù che risorse dai morti la mattina di Pasqua è più forte di tutte le potenze nel cielo e nella terra. È sua volontà che ci sia un mondo di giustizia e di pace e che non dovremmo aspettare che Dio faccia tutto alla fine. Possiamo produrne dei segni qui, adesso, a metà della storia. Anche se ci sarà ancora quell’ambiguità e anche se la morte sarà pur sempre un segno di disperazione, se lo permettiamo.
Uno dei miei versetti preferiti, che riassume tutto questo e che vi offro come una specie di segnalibro perché vi dia speranza quando uscirete da qui, è alla fine del capitolo 15 dei Corinzi. In quel capitolo, Paolo fa una lunga descrizione della risurrezione di Gesù e di quella di tutto il suo popolo. Si potrebbe pensare che dopo aver scritto questo grande trattato sulla risurrezione si potrebbe concludere con: “Quindi alzate il capo! Guardate il glorioso futuro che vi sta davanti e aspettatelo con pazienza”. Certamente anche questo è vero. Ma quello che Paolo dice è: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, irremovibili, abbondando del continuo nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”. Che cosa intende dire? Perché dà quella conclusione a un capitolo sulla risurrezione? Ve lo dico io perché: perché se siete in Cristo, se lo Spirito dimora in voi adesso, allora quello che fate per il regno di Dio, per la persona che vive in fondo alla vostra strada e che adesso si trova nel bisogno, per la gente della vostra comunità che potete aiutare in qualche modo, o per tutta la società in genere, tutto quello che fate adesso non è sprecato. Quando Dio creerà i nuovi cieli e la nuova terra, che sarannno il suo grande dono finale, allora quello che avrete fatto farà parte di quel grande quadro, in un modo che non possiamo nemmeno immaginare.
L’esempio che uso spesso e che viene dall’aver lavorato a lungo nel mondo delle cattedrali, è quello dello scalpellino cui il capomastro dice: “Devi tagliare questa pietra, così, così e così”. Forse ci vorranno ore o giorni per farlo e lo scalpellino che batte sulla pietra e fa quello che deve fare non ha idea del progetto finale.
Un giorno il capomastro verrà, prenderà quella piccola pietra scolpita e la metterà sulla facciata o nella navata della cattedrale, dovunque debba andare. Lo scalpellino la guarderà e dirà: “Quella è la mia piccola pietra. Non mi rendevo conto che facesse parte di quel grande progetto”. Un giorno il capomastro completerà l’edificio e quello che fate in questo momento come popolo della speranza non andrà sprecato. Farà parte del prodotto finale, perché Gesù è risorto e perché mediante lo Spirito potete essere il popolo della risurrezione, il popolo della speranza, anche qui, adesso.
Unitevi a me in preghiera: Padre Onnipotente, ti ringraziamo che con la sua potente risurrezione Gesù, nostro Signore, ha sconfitto ogni potere della morte, della distruzione e della corruzione, aprendo il mondo della tua nuova creazione. Insegnaci oggi come possiamo essere un popolo della speranza, un popolo della risurrezione, un popolo che porta i segnali dell’avvento del tuo regno in questa tua creazione che ad esso anela.
Nel nome di Gesù. Amen.
Titolo originale: Is There Hope?
Pubblicato originariamente sull'Ancora in Inglese il 22 Marzo 2013.
versione italiana affissa il 13 Maggio 2013;
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