Fuoco dal cielo (1 Re 18)

Giugno 13, 2025

Il tesoro

[Fire from Heaven]

Questa storia si svolge intorno al 900 a.C., quando la nazione di Israele si era allontanata dal culto di Dio per adorare il dio pagano Baal. In quel periodo Israele era sotto il regno di Achab, il suo peggior re fino a quel momento, fortemente influenzato da sua moglie Jezebel, una straniera. Sotto il loro governo, i profeti del vero Dio vennero sistematicamente uccisi (1 Re 16:30-33). Dio aveva inviato il suo profeta Elia per avvertire Israele della malvagità delle sue vie e aveva profetizzato che una siccità si sarebbe abbattuta su tutto il paese come conseguenza dell’iniquità di Achab (1 Re 17:1).

Erano passati tre anni da quando Elia si era presentato alla corte di Achab e aveva annunciato l’arrivo della grande siccità, che si era avverata come aveva predetto. Parte di questo tempo l’aveva trascorso presso il torrente Cherith e parte presso la vedova di Sarepta (1 Re 17:8-24). Molte volte, durante questi giorni di solitudine, deve essersi chiesto che cosa Dio avesse intenzione di fare in seguito per il suo popolo. Avevano già imparato la lezione? Erano pronti a convertirsi dai loro idoli? Un giorno il Signore avrebbe posto fine alla siccità, ma come e quando?

La carestia era al culmine quando la parola del Signore giunse a Elia: “Va’ a presentarti ad Achab e io manderò la pioggia sul paese” (1 Re 18:1). Lui partì subito per Samaria, a circa 150 miglia a sud di Sarepta.

Durante il cammino, Elia si imbatté in Abdia, il governatore della casa di Achab, che stava cercando un pascolo per i cavalli e i muli rimasti in vita. Abdia era uno dei pochi leader rimasti fedeli a Dio. Aveva dimostrato la sua lealtà nascondendo un centinaio di profeti di Dio in due grotte per due anni, quando Jezabel cercava di ucciderli, e rifornendoli di cibo e acqua (1 Re 18:4).

Riconoscendo Elia, Abdia cadde in ginocchio e gridò: “Sei tu il mio signore Elia?” — “Sono io”, rispose Elia. “Va’ a dire al tuo signore: ‘C’è qui Elia’” (1 Re 18:7-8).

“Non posso”, disse Abdia, temendo per la sua vita. “Com’è vero che il Signore tuo Dio vive, non c’è nazione o regno in cui il mio signore non abbia mandato qualcuno a cercarti. E ogni volta che una nazione o un regno sosteneva che non c’eri, li faceva giurare che non erano riusciti a trovarti”. C’erano state molte false notizie sui luoghi in cui Elia era stato visto e questo aveva ulteriormente irritato il re.

“Non so dove lo Spirito del Signore possa portarti quando ti lascio”, disse Abdia. “Se vado a dire ad Achab che sei qui e lui scopre che sei sparito di nuovo, mi ucciderà!” (1 Re 18:9-14).

Elia rispose: “Come vive il Signore onnipotente che io servo, sicuramente oggi mi presenterò ad Achab”. Abdia gli credette e partì a cavallo per trovare il re (1 Re 18:15-16). Alla notizia, Achab si recò subito nel luogo in cui il suo servo aveva detto che avrebbe trovato Elia. “Sei tu che metti sottosopra Israele?”, chiese con rabbia avvicinandosi a Elia.

“Io non ho causato alcun problema a Israele”, rispose Elia senza scomporsi, “ma tu e la famiglia di tuo padre sì, abbandonando i comandi del Signore e adorando Baal”. Achab riteneva che Elia, il profeta che aveva pronunciato il giudizio di Dio, fosse la causa dei problemi della nazione, ma Elia sottolineò giustamente che il vero responsabile dei problemi di Israele era Achab, che si era rivolto ad altri dèi.

Elia continuò a sfidare Achab: “Ora convoca tutto il popolo di Israele per incontrarmi sul monte Carmelo e porta con te i quattrocentocinquanta profeti di Baal e i quattrocento profeti di Ascerah che mangiano alla tavola di Jezebel” (1 Re 18:18-19).

Dio aveva mostrato un piano a Elia. Era giunto il momento della resa dei conti, perché non può esistere una coesistenza pacifica tra il bene e il male. Il popolo doveva decidere una volta per tutte se servire il Dio del cielo o i falsi dei Cananei, i cui idoli erano stati eretti in tutto il paese.

Allora il re inviò dei messaggeri perché il popolo e tutti i falsi profeti si radunassero sul monte Carmelo. Migliaia di uomini, donne e bambini si recarono al luogo dell’incontro. Nessuno sapeva bene perché fossero stati convocati, ma solo che il re li aveva fatti chiamare. Si diceva che Elia sarebbe stato presente, ma da tre anni si raccontavano storie simili sul profeta, che non era mai apparso. Non era stato il re stesso a cercarlo per tutto questo tempo?

La gente si diresse verso la cima del Monte Carmelo fino a coprirne le pendici. All’improvviso qualcuno gridò: “Guardate, Elia è qui!” Immediatamente la voce si diffuse tra la folla in attesa e tutti si tesero per vedere l’uomo che aveva osato sfidare il re.

“Silenzio!” gridò qualcuno. “Elia sta parlando!” Il silenzio cadde sulla folla in fermento. Poi dalla cima del monte giunse quella voce profonda e potente che una volta si era sentita alla corte di Achab. “Fino a quando tentennerete tra due opinioni?” – gridò il profeta. “Se il Signore è Dio, seguitelo; ma se Baal è Dio, seguite lui!” Nessuno rispose, il popolo non disse una parola (1 Re 18:21).

Elia continuò: “Io sono l’unico profeta del Signore rimasto, mentre Baal ha quattrocentocinquanta profeti! Prendete dunque due tori, uno per ciascuno di noi. I profeti di Baal ne facciano a pezzi uno e lo mettano sulla legna, senza appiccare il fuoco. Io preparerò l’altro toro e lo metterò sulla legna, ma non gli darò fuoco. Poi voi invocherete il nome del vostro dio e io invocherò il nome del Signore. Il dio che risponderà con il fuoco è il vero Dio” (1 Re 18:22-24).

“Ben detto; è giusto così”, gridò il popolo, ansioso di assistere a una simile prova dei poteri degli dèi rivali, mentre guardava e ascoltava con interesse. Rivolgendosi ai profeti di Baal, Elia disse: “Scegliete uno dei tori e preparatelo per primo, visto che siete in tanti. Invocate il nome del vostro dio, ma non accendete il fuoco”.

Ansiosi di dimostrare che Baal era il più grande dio della terra, i suoi profeti presero il loro toro, lo prepararono e lo posero sull’altare che avevano costruito. Poi cominciarono a implorare il loro dio di mandare il fuoco per bruciare il sacrificio. “O Baal, ascoltaci!”, gridarono. Ma non ci fu risposta. Allora iniziarono a danzare intorno all’altare che avevano costruito, gridando: “Baal, rispondici!” – ma il fuoco non arrivò nemmeno allora (1 Re 18:25-26).

Per tutta la mattina continuarono a danzare e a gridare selvaggiamente. A mezzogiorno Elia cominciò a schernirli e a deriderli, dicendo: “Gridate più forte! Forse è immerso nei suoi pensieri o è indaffarato, o forse è in viaggio. O magari sta dormendo e dovete svegliarlo?” Allora quelli gridarono ancora più forte e cominciarono a tagliarsi con i coltelli, come era loro abitudine, fino a far sgorgare il sangue. Ma tutto ciò non servì a nulla. Passò mezzogiorno, arrivò il pomeriggio. Il sole cominciò a calare verso il mare. Eppure “non si sentì nessuna voce, nessuno rispose, nessuno diede retta” (1 Re 18:27-29).

Allora Elia parlò di nuovo al popolo, che era stanco e affaticato per lo spettacolo che si era protratto per tutto il giorno. “Avvicinatevi a me”, gridò, e la folla si fece avanti. Poi lo osservarono mentre riparava l’altare del Signore, che già in precedenza si trovava sulla cima di questo monte ma era stato demolito. Prese dodici pietre, una per ciascuna delle dodici tribù d’Israele, e ricostruì l’altare; poi ci scavò intorno un canale. Sistemò la legna, tagliò a pezzi il toro e lo pose sulla legna (1 Re 18:30-31).

Poi, con grande sorpresa di tutti, Elia disse: “Riempite d’acqua quattro grandi vasi e versatela sull’olocausto e sulla legna”. Portarono l’acqua e la versarono sull’altare. Alcuni dissero: “Si aspetta forse che bruci, con tutta quell’acqua sopra?” Ma se Elia sentì, non ci fece caso. “Fatelo di nuovo”, disse, ed essi lo fecero. “Fatelo una terza volta”, disse. L’olocausto fu di nuovo cosparso d’acqua fino a farla scolare nel canale e riempirlo (1 Re 18:32-35). Tutto lo spazio era così intriso d’acqua che nessuno avrebbe potuto affermare che fosse stato Elia a dar fuoco all’olocausto. Se l’olocausto fosse stato consumato dal fuoco, doveva essere opera del Signore.

All’improvviso, la grande assemblea si fece silenziosa, mentre Elia alzava la voce in preghiera. Tutti ascoltarono, anche i profeti di Baal, che avevano smesso di gridare.

“Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Israele”, gridò, “fa’ che oggi si sappia che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. Rispondimi, Signore, affinché questo popolo sappia che Tu sei Dio e che sei Tu a convertire il loro cuore” (1 Re 18:36-37).

Non aveva ancora finito di pregare che ci fu come un lampo dal cielo e “il fuoco del Signore cadde sull’altare e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere e prosciugò l’acqua che era nella fossa”. Terrorizzato e comprendendo che si trattava di un atto di Dio, il popolo si prostrò a terra, gridando: “Il Signore è Dio, il Signore è Dio!” (1 Re 18:38-40). Dopo questa grande vittoria sui falsi profeti e il pentimento del popolo, la pioggia tornò a cadere sulla terra, ponendo fine alla siccità (1 Re 18:41-46).

Il profeta Elia è uno dei profeti più coloriti della Bibbia e viene citato più volte nel Nuovo Testamento. Giovanni Battista fu chiamato “Elia” perché nel Nuovo Testamento venne nello “spirito e nella potenza di Elia”, come precursore a indicare la via per l’arrivo del Signore (Matteo 11:14; Luca 1:17). Elia era presente anche alla trasfigurazione di Gesù, quando lui e Mosè parlarono con Gesù (Marco 9:2-7).

Il libro di Giacomo evidenzia Elia come un esempio di preghiera, poiché anche se “era un essere umano, come noi”, tuttavia “pregò intensamente che non piovesse e non piovve”; quando poi pregò perché piovesse, piovve (Giacomo 5:17-18). “La preghiera sincera del giusto ha una grande efficacia e produce risultati meravigliosi” (Giacomo 5:16).

Da un articolo in Il tesoro, pubblicato dalla Famiglia Internazionale nel 1987. Adattato e ripubblicato sull’Ancora in inglese il 21 maggio 2025.

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