Daveen Donnelly
Nel suo libro A Sweet and Bitter Providence (Una provvidenza dolceamara), John Piper ha scritto: “Il razzismo e ogni tipo di etnocentrismo” – l’atteggiamento che il proprio gruppo etnico o la propria cultura sia superiore – “sono altrettanto comuni oggi nel mondo di quanto lo siano mai stati. Il rimpicciolimento del pianeta con l’accesso immediato a internet ha portato nella nostra vita migliaia di persone strane e strani modi di vita – e ha introdotto la nostra stranezza nella loro vita. La diversità è un dato di fatto nel mondo. La domanda è cosa penseremo, sentiremo e faremo al riguardo”.1
Tollerare gli altri è essenziale nel mondo multiculturale e globalizzato di oggi. Significa rispettare le persone e trattarle in modo decente ed equo indipendentemente dalla loro nazionalità, cultura, razza, religione, dottrina, o dal loro stile di vita, sesso o qualunque altro fattore. Essere dei testimoni significa anche ascoltare gli altri e capire cosa c’è dietro di loro.
Da bambina avevo un fumetto sulla famosa favola indiana dei sei ciechi e dell’elefante. Nella favola, sei ciechi incontrano per la prima volta un elefante. Un cieco tocca una gamba dell’animale e dice: “Un elefante è fatto come un albero”. Un altro afferra la coda e dice: “No, no! Un elefante è come una corda”. Il terzo scopre il fianco dell’animale e dice: “Ve lo dico io com’è; è come un muro”. Il quarto tocca un grande orecchio e con un sospiro di soddisfazione dice: “Ah, adesso mi rendo conto che un elefante è come una foglia”. Il quinto, afferrando le zanne lisce e appuntite, dichiara: “L’elefante è senz’altro una lancia”. Il sesto, prendendo in mano la proboscide che si contorceva, afferma con certezza: “Vi sbagliate tutti! Un elefante assomiglia a un serpente”.
È una storia semplice, ma offre spunti per la riflessione. Quando l’applico a me stessa, posso entrare in una situazione, un’esperienza o un’amicizia e immaginare di essere uno dei ciechi, con pensieri, sensazioni, opinioni e percezioni in grado di vedere solo una parte dell’elefante, per così dire.
Immagina di essere un cieco che incontra per la prima volta nella vita un elefante metaforico, che potrebbe essere una persona, una situazione o una questione che ti trovi davanti in questo momento. Considera che forse stai afferrando solo una parte di quella cosa e che quella persona, situazione o questione potrebbe avere qualcosa in più delle apparenze. Se lo farai, potrai allargare la tua prospettiva, rendendoti conto che ciò che vedi non è sempre l’immagine completa.
Ho sempre trovato molto commovente la storia di quando i farisei chiesero a Gesù di giudicare una donna colpevole di infedeltà nei confronti del marito. Secondo la legge mosaica avrebbe dovuto essere condannata a morte. Se Gesù avesse contraddetto la Legge, non sarebbe stato giudicato un rabbino giusto dalla folla disposta a partecipare alla lapidazione. Alla folla indignata, Gesù disse: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni 8:7).
Poi, alla donna che aveva commesso adulterio disse: “Nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Giovanni 8:10-11). Solo Dio è giusto, dovremmo lasciare a Lui la parte del giudice.
Gesù disse: “Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O come potrai tu dire a tuo fratello: ‘Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza’, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita! Togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Matteo 7:1-5)
Il credersi migliori degli altri spesso è il motivo della disapprovazione nei loro confronti, mentre la compassione può nascere dall’accettare che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23).
A proposito della tolleranza, John F. Kennedy, il 35° presidente americano, disse: “La tolleranza non implica una mancanza di fedeltà ai propri principi. Anzi, condanna l’oppressione o la persecuzione degli altri”.
Tollerare gli altri non significa accettare il peccato. Tollerare significa riconoscere che le persone meritano di essere trattate con rispetto e correttezza, che ci piacciano o no, perché sono esseri umani creati a immagine di Dio.
A proposito di questo, Peter Amsterdam ha scritto:
Dimostrare amore e tolleranza per le persone e rispettare il fatto che sono state create da Dio e hanno il diritto innato di essere trattate con dignità non vuol necessariamente dire che si approvano le loro azioni o si accettano le loro idee. Per esempio, non credo che sia giusto che innumerevoli vite siano danneggiate dal traffico di droga. Tuttavia, quando abbiamo a che fare con persone che sono coinvolte in simili colpe morali o che non le ritengano errate, dobbiamo lo stesso trattarle con rispetto come individui creati a immagine di Dio e offrire loro verità, salvezza, speranza e l’amore divino.
A volte ci potremmo sentire chiamati e obbligati a condannare il male o l’ingiustizia. Nel farlo, però, è essenziale ricordarsi che, come cristiani, dobbiamo innanzitutto mostrare agli altri l’amore di Gesù. Potremmo avere la convinzione che le azioni di qualcuno non siano buone o giuste, ma dobbiamo lo stesso amarlo. Dobbiamo essere rappresentanti fedeli dell’amore di Gesù quando interagiamo con gli altri in qualsiasi situazione e dobbiamo considerare come Lui vorrebbe che ci comportassimo.
È possibile commettere errori in come giudichiamo gli altri e, naturalmente, potremmo imparare che non è sempre facile mettere le etichette “giusto” o “sbagliato” sulle decisioni degli altri, o su possibili situazioni ed eventi.
C’è sempre la tentazione di vedere gli altri e le situazioni con una lente monocromatica, ma il tempo, l’esperienza, gli errori e i fallimenti ci insegnano a vedere a colori. Dio conosce il cuore di ogni individuo e capisce tutto di tutti come noi non riusciremmo mai a fare. Non ha bisogno del nostro aiuto per giudicare le persone, ma ne ha, sì, bisogno per dimostrare loro il suo amore e per diffondere la buona notizia del suo amore per il mondo. Come ha detto appropriatamente Madre Teresa: “Se giudicate le persone, non avrete il tempo di amarle”.
I sociologi che studiano il campo della comunicazione interculturale affermano che, quando noi esseri umani socializziamo e accettiamo le norme e i valori sociali della nostra cultura, cominciamo ad assimilare la cultura in cui siamo immersi; questa comincia a divenire parte di quel che siamo ed esercita una grande influenza sul nostro modo di vedere le cose e di prendere decisioni. Metaforicamente, la nostra cultura diventa la lente attraverso la quale vediamo il mondo e ne cogliamo il senso. Una volta che la cultura diventa parte di ciò che crediamo, la diamo per scontata e per la maggior parte non ci pensiamo più.
Quando le persone non appartengono alla cultura in cui sono introdotte, hanno più probabilità di scoprire e apprezzare cose cui i membri di quella cultura non fanno quasi più caso, perché ne sono così coinvolti. Al contrario, gli stranieri spesso non riescono a capire o apprezzare le aspettative e i codici sociali che sono così familiari alle persone nate in un determinato paese.
L’anno scorso ho viaggiato su tre continenti, ho passato del tempo in quattro paesi e ho incontrato molte persone meravigliose e interessanti. Se mi chiedeste qual è secondo me la chiave per adattarsi a culture, nazioni, situazioni e persone nuove, direi che è un sincero interessamento agli altri.
Cerca di costruire ponti di comunicazione con quelli che all’inizio potresti non capire. Dimostrati aperto e accogliente, dimostra cortesia e rispetto. Accetta gli altri così come sono e non tracciare intorno alla tua vita un cerchio che escluda gli altri. Ricorda che “la più grande di esse è l'amore” (1 Corinzi 13:13) e che l’amore è una lingua universale che puoi usare per raggiungere persone di qualsiasi lingua, cultura o tribù che tu possa incontrare.
Non sempre riesci a capire una persona o perché reagisca, senta o pensi come fa; tuttavia, puoi sempre cercare di amarla e parlarle della buona notizia riguardante Colui che sa tutto di lei, la ama e vuole stabilire con lei un rapporto per l’eternità.
Adattato da un podcast di Just1Thing, un sito cristiano per la formazione dei giovani.
Pubblicato sull’Ancora in inglese l’8 marzo 2023.
1 John Piper, A Sweet and Bitter Providence: Sex, Race, and the Sovereignty of God (Crossway, 2010), 14.