Peter Amsterdam
Quando leggiamo i racconti evangelici sulla vita di Gesù, una cosa che diventa abbondantemente chiara è che Gesù dimostrò compassione per gli altri e insegnò che anche i suoi seguaci dovrebbero essere compassionevoli. Leggiamo la parabola del Samaritano che dimostrò compassione per il Giudeo che era stato picchiato, curandogli le ferite, portandolo in una locanda dove potessero curarlo e pagando le spese di tasca sua.1
Nella parabola del figlio perduto, un giovane pretese dal padre la sua eredità — in pratica era come dire: “Vorrei tu fossi morto” — e se ne andò di casa solo per dissiparla. Al suo ritorno a casa, leggiamo che “suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò”.2
Durante il suo ministero, Gesù vide situazioni in cui le persone avevano bisogno, ebbe compassione di loro e fece qualcosa per aiutarle. Il Vangelo di Matteo racconta:
Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: «Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada».
Poi prese sette pani e dei piccoli pesci e li moltiplicò, così che quattromila persone mangiarono e furono saziate.3 In un altro caso, dopo aver visto un ragazzo cadere in preda alle convulsioni, Gesù chiese a suo padre: «Da quanto tempo gli avviene questo?» Egli disse: «Dalla sua infanzia; … se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù dimostrò la sua compassione liberando il ragazzo dallo spirito che lo affliggeva.4
Durante la sua vita sulla terra, Gesù incarnò le qualità di suo Padre, tra le quali c’era la compassione. Leggiamo della compassione di Dio in tutto il Vecchio Testamento:
Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso l’Eterno verso quelli che lo temono.5
«Ti ho abbandonata per un breve istante, ma con immensa compassione ti radunerò. In uno scoppio d’ira ti ho nascosto per un momento la mia faccia, ma con un amore eterno avrò compassione di te», dice l’Eterno, il tuo Redentore.6
Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra, e prorompete in grida di gioia, o monti, perché l’Eterno consola il suo popolo e ha compassione dei suoi afflitti.7
Allora, cos’è esattamente la compassione? I dizionari la definiscono come “un sentimento di profonda partecipazione e dolore per chi ha qualche tipo di sofferenza, unito al desiderio di fare qualcosa per alleviarla”.
Nel Vecchio Testamento ci sono cinque parole ebraiche, che vengono tradotte con “compassione”, o pietà; e nel Nuovo Testamento ci sono quattro parole greche tradotte allo stesso modo. Nel Vecchio Testamento, quelle parole hanno i seguenti significati: essere dispiaciuti per; provare pietà; simpatizzare; compatire; e confortare o consolare (con l’intenzione di cambiare la situazione).
Una delle parole ebraiche, racham, è collegata al termine per “grembo” e indica la compassione di una madre (o di un padre) per un bambino inerme — un’emozione profonda che si manifesta in gesti di servizio altruista. È una compassione protettiva e questa parola in genere è usata in riferimento alla compassione divina. Alcune versioni la traducono con misericordioso.
E l’Eterno passò davanti a lui e gridò: «L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà».8
Nel Nuovo Testamento ci sono quattro parole greche tradotte con compassione e pietà. Quella che ritroviamo più spesso è collegata al termine greco usato per “viscere”, riferito alla sede delle emozioni umane. Il termine significa “Essere mossi nelle proprie viscere”, dando l’idea di essere commossi nella parte più intima dei propri sentimenti, causando poi gesti di bontà e misericordia. Un’altra parola, sumpathes, trasmette il significato di “soffrire insieme con” o “soffrire al fianco di”.
Avere compassione vuol dire provare un sentimento forte per la situazione o lo stato di una persona e fare qualcosa per cambiarli. Vuol dire migliorare la situazione di una persona bisognosa. Non è compassione se non s’intraprende un’azione. In alcuni casi potrebbe voler dire abbracciare una persona, pregare per lei, parlarle con gentilezza e trasmettere il proprio dolore o la propria preoccupazione per lei.
Può anche significare intraprendere un’azione mirata a cambiare la situazione o le circostanze. Potrebbe voler dire difendere qualcuno. Forse richiede una protesta per cambiare le leggi e portare la giustizia sociale. Può significare dedicare tempo ed energia a nutrire gli affamati, aiutare gli orfani, visitare i malati o le persone a lutto, parlare ad altri del vangelo o usare altri modi per aiutare chi ha bisogno.
La compassione è strettamente collegata all’empatia – la capacità di capire e condividere i sentimenti degli altri, di mettersi nei loro panni in maniera da capire quello che provano, dal loro punto di vista. Provare empatia può spingerti alla compassione.
In breve, la compassione fa parte dell’amore. Ma come coltiviamo questo aspetto dell’amore? Come possiamo diventare più compassionevoli? Una cosa che può aiutarci è pensare al comando di Gesù: “Ama il tuo prossimo come te stesso”.9 Dobbiamo amare noi stessi, quindi dobbiamo mostrare compassione nei nostri stessi confronti. Se siamo buoni con noi stessi, anche quando riconosciamo di esserci causati dei problemi da soli, possiamo riconoscere che, quando gli altri hanno bisogno, dovremmo aiutarli. Se ci mettiamo nei loro panni, esser compassionevoli nei loro confronti diventa più facile.
È utile anche riflettere sul ministero di Gesù. Lui vide persone bisognose – i ciechi, gli affamati, i malati, gli emarginati – e invece di guardare dall’altra parte e andarsene, le notò, si fermò e fece qualcosa. Con la nostra vita affaccendata è facile non notare chi è in difficoltà e ha bisogno, e occuparci solo dei nostri bisogni, dei nostri problemi, delle nostre ansie e delle nostre paure.
Un’altra cosa che può renderci più compassionevoli è nutrire la nostra consapevolezza dell’amore del Signore per noi – ricordando che, anche se siamo immeritevoli, pieni di difetti e di peccati, Dio ha fatto qualcosa per noi, anche se gli è costato molto. Ha sacrificato il suo Figlio diletto per salvarci quando ne avevamo bisogno. Dio ci ha mostrato una compassione a carissimo prezzo; se ci ricordiamo regolarmente questo fatto, lodandolo e ringraziandolo, potremmo trovare più facile rispondere agli altri con il suo amore e la sua compassione.
Gesù ebbe compassione dei sofferenti, degli emarginati, dei poveri e dei bisognosi. Potremmo pensare di non essere in grado di aiutare gli altri, in confronto, dato che Lui era Dio incarnato e poteva fare grandi miracoli. Ma anche se potremmo non essere in grado di fare miracoli grandi come quelli di Gesù, dimostrare compassione nei confronti degli altri può sembrare un miracolo a una persona bisognosa. Un po’ di compassione può fare una differenza enorme nella sua vita.
Ricevere Gesù nel nostro cuore ed esser ripieni dello Spirito di Dio è la chiave per provare compassione per gli altri. Provare il suo amore mediante una comunione intima con Lui, come risultato del passare tempo a comunicare in preghiera, leggere la sua Parola, ascoltarlo, chiedergli guida e riceverla, ci rende più consapevoli del suo amore per noi personalmente. Quando proviamo la sua bontà, la sua misericordia, la sua generosità, la sua compassione e il suo amore profondo, siamo più in grado di lasciar fluire il suo amore attraverso di noi sugli altri.
Se vogliamo sinceramente imitare Gesù, cercheremo di coltivare una profonda consapevolezza dei bisogni degli altri e saremo anche disposti a fare i passi adeguati per aiutarli e consolarli. Gesù servì compassionevolmente gli altri e come suoi seguaci dobbiamo essere compassionevoli anche noi.
Pubblicato originariamente nell’ottobre 2017.
Adattato e ripubblicato sull’Ancora il 31 ottobre 2022.