Compilazione
Ho cominciato ad allontanarmi dalla chiamata che sapevo Dio mi aveva rivolto, alcuni mesi fa. Penso che mi ero semplicemente stancato di lottare. A pensarci bene, non è che mi sia allontanato, ho solo smesso di camminare. In qualsiasi corsa, fermarsi vuol dire restare indietro. Subconsciamente mi sono chiesto perché mai avevo scelto di correre. Mi sono dimenticato l’eccitazione della corsa e l’unica cosa cui potevo pensare era il calore dell’asfalto.
Mi sono semplicemente fermato per riprendere fiato e adesso il gruppo è sparito nella distanza. Mi sento molto indietro, ma al mio fianco sento una forza. È la voce del mio Allenatore, sempre vicino a me, che mi spinge ad andare avanti nonostante il mio carattere debole. Perché si preoccupa ancora per me? Non capisce che sono un fallito e un perdente? Non solo, ma ho fatto promesse vane, sia a Lui sia agli altri — i corridori, gli sponsor, i tifosi, gli amici, la famiglia e perfino me stesso.
Mi dice che non ha nessuna importanza; tutto quello che mi chiede è di dimenticare il passato, gli ultimi estenuanti chilometri, e di alzarmi e riprendere a correre. Gli dico che non posso, che non riuscirò a finire la corsa.
Dice che mi darà la forza. Mi offre un bicchiere d’acqua fresca. Ha un sapore delizioso e mi rendo conto che avevo smesso di bere quest’acqua rinfrescante. Mi sembrava di non averne il tempo.
Dice che mi detterà il passo per assicurarsi che arriverò fino in fondo. Gli ribatto: “Ma se non spingo di più non vincerò”.
Mi ricorda che corro per qualcosa di più di un trofeo. Non corro per battere gli altri corridori, ma per una causa — per portare la mia bandiera oltre il traguardo. Non ho cominciato questa corsa per arrendermi.
Adesso il bicchiere è vuoto, la sete si è spenta ed è ora di rimettersi in movimento. Mi rendo conto del tempo che ho perso sedendomi sotto quell’albero, ma una parte di me sta ancora gridando di rimettermi a sedere. Sulla strada fa più caldo, almeno cinque gradi! Ma è sufficiente a bloccarmi? Sono nato per correre! — mi dico. Ma non riesco lo stesso a ripartire. Non posso deluderlo! Cerco di convincermi, ma l’ombra continua a tentarmi.
È allora che sento quel suono, portato dalla brezza che mi soffia contro! Da dietro la prossima curva, ecco che mi incitano — i campioni del passato. No, non i turisti che sorseggiano cocktail appena dietro la recinzione; queste voci sono più in alto sulla scalinata, nei posti riservati a chi è già andato avanti, a chi merita l’onore e il riconoscimento accordato a quelli che hanno già pagato il prezzo e corso la gara fino al traguardo.
Mi chiamano – no, gridano il mio nome: “Corri come il vento!” — mi dicono.
È il momento! Il cuore batte forte, ma esito di nuovo. Ce la farò? “Sì”, promette il mio allenatore, “perché sono qui con te e ti guiderò fino in fondo. Non pensare allo sforzo, concentrati sulla meta. E soprattutto, non abbatterti, perché alla fine quel che conta è non arrendersi”.
Il primo passo è il più difficile, come sempre, ma in qualche maniera ce la faccio. Credo che sia questo a cui Lui si riferisce con “correre con perseveranza”. Adesso che ho ripreso a correre, ogni passo sembra più leggero degli altri. Penso di potercela fare. No, penso che possiamo farlo insieme. —John Kelly
Momenti determinanti
Pochi avvenimenti catturano l’attenzione del mondo come il Campionato Mondiale di Calcio ogni quattro anni. La finale del 2006 ebbe un pubblico televisivo stimato in 715 milioni, mentre l’intero torneo, dalle qualifiche alle finali, attirò un totale di oltre ventisei miliardi di spettatori — l’equivalente di quattro partite per ogni persona al mondo. Perfino chi normalmente presta poca attenzione allo sport rimane coinvolto dai risultati delle partite pubblicati sulle prime pagine dei giornali.
Per noi spettatori, a seconda della nostra passione per il calcio e dei risultati della nostra squadra, l’aspettativa può durare un anno, la finale un paio d’ore e le celebrazioni alcuni giorni, poi ritorniamo a una vita normale. Per i giocatori, invece, come per gli allenatori e gli altri che vi sono coinvolti al massimo livello, la Coppa del Mondo è un momento determinante, l’apice di anni di sogni, piani, sacrifici e lavoro duro.
È un momento importante ma non è il culmine e l’essenza della loro vita, come forse era sembrato loro quando erano completamente concentrati per arrivare ai mondiali e comportarsi con onore. In realtà è solo una tappa, un nuovo punto di partenza.
Le vere prove cominciano adesso. Chi perde, come prenderà la sconfitta? Si arrenderà, o continuerà ad andare avanti per magari vincere la prossima volta? Che opportunità avranno i vincitori e come prenderanno il successo? Lo useranno per continuare le loro fortune calcistiche, per passare ad altre carriere dopo il calcio o per promuovere cause che ritengono importanti? Nei mesi e negli anni a venire scopriremo che tipo di persone si nasconde dietro quei grandi nomi.
Lo stesso vale per noi. Forse non siamo atleti davanti ai riflettori del mondo, ma ogni giorno abbiamo un’altra opportunità di prendere in esame chi siamo veramente e di decidere per che cosa vogliamo essere conosciuti e ricordati. Ogni giorno può essere un momento determinante, se scegliamo di farlo. —Keith Phillips
Perseveranza nella corsa
Due ore, cinque minuti e dieci secondi: è il tempo che il kenyota Samuel Wanjiru impiegò per arrivare primo al traguardo nella maratona di Londra nell’aprile 2009.
Tredici giorni: è il tempo che impiegò il maggiore Phil Packer, un militare inglese divenuto paraplegico dopo un incidente alla spina dorsale, a completare la stessa maratona, arrivando ultimo su trentaseimila concorrenti. Questa grande impresa di perseveranza raccolse oltre 600.000 sterline (circa €700.000) per beneficenza.
Wanjiru fece notizia per la sua velocità. Packer fece notizia, non per la velocità, ma per il suo coraggio e la sua determinazione. Un migliaio di persone lo accolsero alla fine di una corsa cui si era iscritto contro ogni aspettativa, per non parlare delle possibilità di portarla a termine. Dopo il suo incidente l’anno prima, gli avevano detto che non sarebbe più stato in grado di camminare. Anzi, aveva imparato a camminare con le stampelle solo un mese prima della maratona.
Mentre entrambi sono rispettati per la loro impresa, c’era qualcosa di speciale nel trionfo di Parker. Durante le sei ore dolorose ed estenuanti che impiegò ogni giorno a percorrere poco più di tre chilometri, non fu mai solo. I suoi sostenitori, sia amici che estranei, lo accompagnarono durante il percorso, camminando al suo fianco e incoraggiandolo, dalla linea di partenza fino all’arrivo. Tra i messaggi di congratulazione sul suo sito web ci fu anche un messaggio che trasmetteva l’ammirazione del principe Carlo.
La strada della vita non è sempre facile e a volte affrontiamo ostacoli apparentemente insormontabili; ma non camminiamo da soli. Anche noi abbiamo degli incoraggiatori, la nostra famiglia e i nostri amici, che ci sostengono durante il cammino. E anche noi abbiamo un Principe che ci appoggia — non di questo mondo, ma Gesù, il Principe della Pace, che promette di aiutarci a superare le circostanze, a persistere nonostante le probabilità sfavorevoli e a trionfare sulle difficoltà: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza”,1 ci dice. Quindi “corriamo con perseveranza la gara che ci è posta davanti, tenendo gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede”. 2 —Marge Banks
Pubblicato sull’Ancora in inglese il 17 marzo 2020.