La strada per arrivare alla fede

Novembre 20, 2020

Iris Richard

[The Road to Faith]

Ci sono stati momenti della mia vita in cui la fede non ha avuto un ruolo. L’unica cosa che conoscevo era l’importanza di eccellere negli studi e fare del mio meglio per arrampicarmi sulla scala del successo, oltre a cercare di essere una brava persona — almeno il più possibile. Sembrava possibile, ma ho scoperto che la vita in genere non funziona così. Specialmente perché quando ero molto giovane abbiamo vissuto momenti difficili.

Sono nata in Germania nel 1955, in una famiglia di operai. Il paese era in piena ricostruzione dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. “Stringi i denti e lavora sodo” era il motto con cui sono cresciuta. Nella nostra famiglia non si dava molta importanza alla fede, a dedicare tempo a Dio e alla preghiera o a qualsiasi tipo di bisogno emotivo.

La vita era dura, gli approvvigionamenti scarsi ed entrambi i miei genitori lavoravano per far quadrare i conti, lasciando da sole mia sorella e me al pomeriggio dopo la scuola. Dai sei anni in su eravamo spesso sole in casa.

Poi la vita ha preso una piega peggiore e la nostra famiglia si è trovata in una situazione finanziaria ancora più difficile. A questo è seguito un altro imprevisto quando mi hanno diagnosticato una malattia muscolare cronica che mi deformava la schiena. Sola ed emotivamente depressa in quei giorni di fisioterapia e cure interminabili, mi sentivo piccola e insicura.

Ero come una barca priva di timone, sbattuta di qua e di là da onde minacciose. Mi mancava un’ancora sicura e andavo alla deriva in un vuoto fatto di ansia e preoccupazioni.

È stato allora che una scintilla di fede ha illuminato il buio in cui mi trovavo. A dodici anni, durante una delle lezioni di religione a scuola, ho trovato incoraggiamento nell’inno Ein feste Burg ist unser Gott,1 di Martin Luther, che parlava di Dio come di una fortezza potente e un aiuto sempre pronto nei momenti difficili. Mi ricordo che ogni volta che la cantavo mi si scaldava il cuore e nella mia mente si rinnovava il coraggio.

Il giorno della mia cresima — che era una tradizione nel villaggio protestante in cui vivevo all’epoca — la mia fede è progredita. È stato in quella vecchia cappella in pietra, in una giornata piovosa d’autunno, che ho fatto la promessa e ho invitato Gesù nella mia vita. Quell’esperienza ha lasciato un segno nel mio cuore, con una misura di pace e fiducia ritrovata.

Anche se negli anni turbolenti della mia adolescenza quella promessa è quasi scivolata nell’oblio, c’era sempre in me quel minuscolo seme di fede che era stato piantato nel terreno ricettivo del mio cuore quel giorno in quella cappella. Anni dopo, quando ho raggiunto la fine di un lungo percorso, mi è ritornata in mente.

Come tanti giovani degli anni ’70 ho fatto il mio pellegrinaggio sul famoso hippy trail, dalla Germania, attraverso diversi paesi mediorientali, fino in India e in Nepal. Ero alla ricerca di un significato e di uno scopo nella vita. Dopo aver viaggiato per quasi due anni con alcuni amici in un camper scassato, il disastro è arrivato e mi sono ritrovata abbandonata tutta sola in un paesino del nord dell’India, lontano dalle strade battute. Ero appena guarita da un brutto caso di epatite, ero debole e fragile, dipendente da droga e senza soldi.

È stato allora, in una tetra mattina nebbiosa, che è successa una cosa curiosissima.

Nel motel malmesso in cui mi ero fermata per la notte, ho incontrato un gruppo di giovani missionari. Stavano andando a svolgere la loro missione in un carcere e si erano fermati a fare benzina e a mangiare qualcosa nel ristorante scalcinato del motel. Ero in uno stato pietoso e si sono impietositi di me, così mi hanno invitato a restare a casa loro finché non mi fossi ripresa.

La loro gentilezza, la loro dedizione e la loro semplice fede che Dio avrebbe sistemato tutto mi hanno toccato profondamente. Nei loro occhi c’era una luce speciale che irradiava pace e determinazione.

Durante le loro devozioni mattutine, mi è saltato agli occhi un brano di Matteo 13. “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo.Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n'è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l'ha comperata”.2

Ho provato un forte desiderio di aggrapparmi a quello che avevo trovato: una perla preziosa, una fede rinnovata nella bontà di Dio. Mi sono resa conto che la mia anima non aveva sete di fama, successo e ricchezza, ma di un significato, di uno scopo, di pace, di una vita che avesse importanza. Da quel momento di svolta, mi sono lasciata il passato alle spalle, ho trovato la forza di liberarmi dalla dipendenza e ho deciso di dedicare la vita a servire gli altri.

La vita si è svolta in maniera inspiegabile e in seguito ho cominciato a lavorare in Africa, dove con la mia famiglia mi sono impegnata per venticinque anni in opere umanitarie. Come madre di sette figli ho avuto molti alti e bassi, ma quella perla di fede trovata tanti anni fa in India mi ha fatto superare ogni bufera della vita con la sicurezza che alla fin dei conti Dio è in controllo e appena dietro l’angolo ci attende un giorno più luminoso.

Pubblicato sull’Ancora in inglese il 4 marzo 2020.


1 Scritta da Martin Lutero, del 1529; ha una versione italiana, “Forte rocca è il nostro Dio”, fatta da G. B. Niccolini, il cui testo è un adattamento dell’originale.

2 Matteo 13,44–46.

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