Coronavirus: una prospettiva biblica e storica

Marzo 23, 2020

Christian Hofreiter

[Coronavirus: A Biblical, Historical Perspective]

Mentre il Covid-19 sospende la vita pubblica nel mondo, l’austriaco Christian Hofreiter ci ricorda “le molte volte nella storia in cui la luce della carità cristiana ha brillato con luce abbagliante nei momenti bui di malattie infettive e capovolgimenti sociali”.

(Leggi l’articolo originale in inglese sul sito https://www.rzim.org/read/rzim-global/coronavirus-a-biblical-historical-perspective [di cui diamo la traduzione qui sotto]. La stessa pagina continua con un altro buon articolo sull’argomento.)

Il reverendo Christian Hofreiter è il direttore di RZIM per Austria, Germania e Svizzera. Vive a Vienna con la sua famiglia.

Molte, se non la maggior parte, delle nostre nazioni sono in questo momento violentemente scosse da un’epidemia di coronavirus. In Austria, per esempio, le scuole e tutti i negozi non essenziali sono chiusi già da lunedì. I ristoranti devono restare chiusi dopo le 15:00 e praticamente tutta la vita pubblica, compresi i servizi religiosi, è stata sospesa. Italia, Svizzera, Francia e Spagna sono i paesi più colpiti per numero di infezioni e in Italia gli ospedali sono sul punto di collassare e i medici devono decidere quali pazienti salvare e quali devono lasciar morire, perché non hanno abbastanza apparecchi per prendersi cura di tutti. Molte altre nazioni, comprese parti degli USA, stanno probabilmente andando in quella direzione. Quando, se non adesso, è la chiesa chiamata a sorgere e risplendere?

Il coronavirus, amare il prossimo e la quarantena nella Bibbia

Già nell’Antico Testamento troviamo rigide regole di quarantena per le persone che soffrivano di malattie infettive (vedi Levitico 13). Così, quando i cristiani seguono i consigli dei medici e del governo di ridurre drasticamente tutti i contatti sociali, questa non è per noi un’espressione di mancanza di fede (come se Dio non avesse il potere di proteggerci o guarirci). È invece una richiesta saggia e in particolar modo dettata dall’amore fraterno. L’equazione è semplice ed è motivo di riflessione: meno progredisce il ritmo dell’infezione virale, minore sarà il numero delle persone vulnerabili che moriranno. Dovunque possiamo contribuire a raggiungere quel risultato, dovremmo farlo!

Cristiani, epidemie e risveglio religioso

Mentre saggezza, solidarietà e amore per il prossimo ci spingono a fare la nostra parte per contenere il più possibile l’attuale epidemia, mi vengono in mente le molte volte nella storia in cui la luce della carità cristiana ha brillato con luce abbagliante nei momenti bui di malattie infettive e capovolgimenti sociali. Anzi, i cristiani soppressero l’impulso di fuggire al sicuro e isolarsi dalla sofferenza altrui:

“Nel 165 d.C. un’epidemia si diffuse rapidamente nell’impero romano, eliminando una persona su tre. Successe di nuovo nel 251, quando cinquemila persone al giorno morivano nella sola città di Roma. Le persone infette venivano abbandonate a morire nelle strade dalle loro stesse famiglie. I sacerdoti pagani fuggivano dai templi in cui la gente si era rifugiata per trovare conforto e spiegazioni. Le persone erano troppo deboli per aiutarsi da sole. Se non era il vaiolo a colpire, lo facevano la fame, la sete e la solitudine. L’effetto sulla società fu catastrofico. Tuttavia, dopo le epidemie, la buona reputazione dei cristiani fu riconfermata e il loro numero aumentò esponenzialmente. Perché mai? I cristiani non si presentavano con delle risposte intellettuali al problema del male. Non godevano di un’abilità soprannaturale di evitare dolore e sofferenza. Quello che avevano era acqua, cibo e la loro presenza. In poche parole, se conoscevi un cristiano, avevi statisticamente più probabilità di sopravvivere; se sopravvivevi, era la chiesa a offrirti l’ambiente più amorevole, stabile e sociale. A convertire l’impero non furono sagaci argomenti apologetici, un’organizzazione politica strategica o la testimonianza dei martiri, ma più che altro la semplice convinzione di donne e uomini normali che ciò che facevano per il più piccolo del loro prossimo lo facevano per Cristo”.1

Naturalmente sappiamo che ponderati argomenti apologetici ebbero un ruolo molto importante nella conversione dell’impero romano, quindi una cosa non esclude l’altra. Ravi Zacharias ha detto molto bene: “L’amore è il più grande degli argomenti apologetici. È l’elemento essenziale per raggiungere una persona nella sua interezza in un mondo frammentato. Il bisogno è enorme, ma è anche imperativo che siamo disposti a seguire l’esempio di Gesù e soddisfare le esigenze del momento”.

Non sarebbe meraviglioso se anche ai nostri giorni noi cristiani fossimo noti principalmente per l’amore generoso e disinteressato per il prossimo, invece che per le molte cose cui siamo contrari e che giudichiamo?

Gestire la paura

Momenti insicuri, sconvolgimenti sociali, la minaccia della povertà, malattia e morte: tutte queste cose portano naturalmente alla paura. In situazioni del genere, una delle cose migliori che possiamo fare è ricordarci che il nostro Dio è davvero grande, buono, forte, potente e fedele. Attraverso Gesù Cristo, ognuno di noi può conoscere Dio come il nostro Padre che è nei cieli. Personalmente, trovo che in situazioni del genere sia molto utile meditare sui versetti delle Scritture che conosco a memoria, sui quali posso riflettere e pregare, che posso sentire dentro, portare nel mio cuore, masticare e digerire interiormente. Il Salmo 23, per esempio. Tu lo sai a memoria?

Pubblicato sull’Ancora in inglese il 20 marzo 2020.


1 Stephen Backhouse citato in Loving Mercy: How to Serve a Tender-Hearted Saviour, di Simon Ponsonby (Oxford: Monarch Books, 2012), 155.

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