Trovare il “felice” in Felice Anno Nuovo

Gennaio 1, 2019

Compilazione

[Finding the “Happy” in Happy New Year]

Sospetto che se dovessimo chiedere alla gente qual è il loro obiettivo principale per l’anno nuovo, in un modo o nell’altro la risposta si ridurrebbe a “essere felici”. I buoni propositi che facciamo per l’anno nuovo in realtà rappresentano fattori di cambiamento nella nostra vita che sono ostacoli alla nostra felicità. Che cos’è, però, questa felicità che la gente ricerca? Di solito pensiamo alla felicità come a una categoria soggettiva che ogni persona definisce individualmente. Non abbiamo più la nozione che la felicità sia qualcosa di più preciso.

Se siamo stati creati da Dio, Lui ci ha fatto per alcuni scopi precisi e la nostra felicità è legata al perseguimento di quegli scopi. Dio ha creato cose d’ogni genere che aumentano la nostra felicità, ma solo se le impieghiamo come intendeva Lui. Il loro uso improprio non potrà mai raggiungere il loro scopo definitivo.

Per essere felici, dobbiamo trovare la strada giusta per arrivarci. —Melinda Penner

Felicità = la sua presenza

Un anno nuovo porta con sé la possibilità di nuove opportunità e promesse, di obiettivi e aspirazioni, di rinnovamento e crescita. È la possibilità di ricominciare e, ovviamente, ci offre la speranza che l’anno nuovo sia ricolmo di felicità.

Nonostante i divertimenti e l’umore festoso, l’arrivo di ogni Capodanno porta inevitabilmente con sé la sua parte di dolore e tristezza. Alcune delle nostre aspettative non saranno esaudite. A volte, quando ci aspettiamo gioia e bellezza, la diagnosi di una malattia terminale, un incidente orribile o una serie di fallimenti e delusioni decima i nostri piani e altera ogni senso di “normalità”. Anche se nessuna di queste terribili devastazioni si manifesta, raramente tutto va “perfettamente bene”. Quando auguriamo ad amici e persone care un “felice anno nuovo”, sappiamo che inevitabilmente ci saranno anche delle delusioni.

All’inizio dell’anno nuovo, il desiderio di un “felice anno nuovo” è molto più profondo di quelle semplici parole. Piuttosto, queste parole trasmettono fantasie di opportunità e promesse vagheggiate. E quelle care fantasie variano a seconda del modo in cui definiamo la felicità. Alcuni la definiscono come un anno in cui tutto è perfettamente allineato e va come vogliono loro. Altri sperano in piaceri più semplici; altri ancora sperano semplicemente che sarà un anno in cui prenderanno in mano la situazione, troveranno un lavoro o sopravvivranno un altro giorno, nonostante la fame o la solitudine dolorosa.

Desiderare un “felice anno nuovo” è semplicemente un altro augurio di “sia fatta la mia volontà”?

In molte tradizioni religiose diverse esiste un ritornello liturgico, in cui il prete o il pastore dice “Il Signore sia con voi” – e la gente risponde: “E con il tuo spirito”. Unendomi al coro di voci che cantavano questo ritornello, mi ha colpito il fatto che, per molte persone e indipendentemente dalla loro fede personale o dalla loro tradizione religiosa, una delle chiavi della felicità è la sensazione di essere in qualche modo notate e di avere una certa importanza. È la speranza che, se Dio esiste, le nota e si prende cura di loro. Specialmente nelle circostanze più difficili, c’è bisogno di sicurezza e della presenza di Dio al nostro fianco, c’è il desiderio della vicinanza divina in tutti gli avvenimenti dell’anno. Perché in ogni anno nuovo ci sono moltissime cose che cospirano contro la fede nella presenza di Dio; e un ateismo strisciante può sopraffare molte persone di fede.

Considerando che ogni anno nuovo porterà indubbiamente felicità e avrà anche la sua parte di dolori e sofferenze, il desiderio che la presenza di Dio si manifesti sembra un’aggiunta essenziale all’onnipresente ma spesso generico desiderio di felicità. Felice è l’anno in cui – indipendentemente da ciò che può portare e da ciò che può accadere – si fa sentire la presenza di Emmanuele, Dio con noi. —Margaret Manning1

Usare l’insoddisfazione per crescere

In un modo o nell’altro, siamo quasi tutti scontenti di noi stessi e delle circostanze in cui ci troviamo, ma non è per forza un male. Una certa quantità d’insoddisfazione è necessaria, se vogliamo fare progressi. Per diventare quello che possiamo essere, dobbiamo sognare di essere più di quel che siamo. Il problema è che troppi di noi si fermano lì, nella fase sognante. Perché, secondo voi?

Spesso e volentieri è perché pensiamo di non avere i requisiti necessari per trasformare i nostri sogni in realtà – e di solito abbiamo ragione. Possiamo fare alcuni cambiamenti per pura forza di volontà o lavorando più sodo, per esempio raggiungendo una nuova quota di vendite o perdendo peso. Ma che dire dei cambiamenti più grandi, i cambiamenti interiori che sappiamo ci renderebbero molto più felici e ci permetterebbero di fare davvero la differenza nel nostro angolo di mondo? Quello è il tipo di cambiamento più difficile da ottenere.

Gesù lo riassunse molto semplicemente quando disse: “Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio”.2 Il segreto sta nel metterci nelle mani di Dio e lasciare che Lui faccia l’impossibile per noi, attraverso di noi e a volte nonostante noi. Siamo piccoli, deboli e incapaci, ma c’è un Dio molto grande, forte e capace, che è sempre presente e ci aiuta a fare quei cambiamenti “impossibili” dentro di noi. —Keith Phillips

La definizione di felicità

È veramente possibile raggiungere la felicità? È una domanda cui molti hanno cercato di rispondere – è stata dibattuta in aule di filosofia, sussurrata nei pigiama party, promessa in innumerevoli campagne pubblicitarie – specialmente all’arrivo dell’anno nuovo. Le nostre innumerevoli strategie per trovare la felicità sono diverse quanto le molte definizioni della parola. Se però il raggiungimento della felicità fosse intimamente collegato alla nostra risposta a un’altra domanda? Ovvero, qual è la fonte della nostra gioia più grande nella vita? In altre parole, potrebbe esserci un collegamento tra il modo in cui vediamo il mondo e la nostra capacità di provare felicità?

In uno studio significativo, Armand Nicholi, professore di psichiatria clinica all’università di Harvard, ha confrontato la vita e le opere di Sigmund Freud con quelle di C. S. Lewis. Entrambi questi giganti della cultura sono stati apprezzati per la notevole accuratezza con cui hanno osservato le emozioni e le esperienze umane. Tuttavia, ognuno di loro ha definito e sperimentato la felicità in maniera considerevolmente diversa, attraverso visioni del mondo radicalmente diverse.

L’esperienza e l’idea che Freud aveva della felicità emergono come punti fondamentali della sua interpretazione materialistica del mondo. Commentò che la felicità è “un problema di soddisfazione dei desideri istintivi di una persona”. Di conseguenza, la possibilità di raggiungere la felicità era vista con pessimismo. Freud riconosceva che l’appetito umano non è mai pienamente soddisfatto. Sfortunatamente, la stessa vita di Freud rispecchiò la sua definizione di felicità. Le sue lettere furono sempre più colme di pessimismo e depressione, fino ad accennare all’uso di droghe come l’unico antidepressivo che potesse trovare.

Ciò che fa di C. S. Lewis un affascinante termine di paragone è che, come Freud, anche lui in età più giovane fu intensamente pessimista circa le possibilità di trovare la felicità. Tuttavia, come rilevato da molti biografi e amici intimi, la sua vita fu profondamente trasformata poco dopo i trent’anni, dopo un drammatico capovolgimento della sua visione del mondo. La felicità, secondo Lewis, non si poteva trovare nel mondo materiale. Scoprendo di avvicinarsi a una visione del mondo plasmata da qualcosa che esiste oltre il mondo della materia, Lewis all’inizio pensò di arrivare a un posto, a un’idea; invece scoprì di essere arrivato a una Persona, immersa nel mondo materiale, ma anche oltre e dietro di esso. Anzi, fu la sorpresa di scoprire una Persona a ridefinire per lui la nozione di felicità: una felicità, proveniente da dentro questa fonte di gioia, che marcò la sua vita anche nei momenti di dolore e di lutto.

In questo nuovo anno di possibili promesse, la fonte ultima della felicità può essere altrettanto degna di considerazione di qualsiasi altra possibile opzione o proposito speranzoso. Il salmista scrive di un creatore come di una fonte dentro e oltre il mondo materiale. “Tu m’insegni la via della vita; ci sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi sono delizie in eterno”. Potrebbe esserci un collegamento tra la nostra capacità di essere felici e la nostra idea della vita. Dal punto di vista cristiano, Cristo è presente in carne e ossa e t’invita ad avvicinarti a Lui, così che la tua gioia possa essere trasformata da un amore presente e duraturo. —Jill Carattini

Pubblicato in inglese sull’Ancora il 1 gennaio 2018.


1 https://www.rzim.org/read/a-slice-of-infinity/new-year-wishes.

2 Marco 10,27 NR.

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