La mangiatoia e l’albergo

Dicembre 11, 2017

Peter Amsterdam

[The Manger and the Inn]

Un esame più approfondito dei racconti evangelici della nascita di Gesù danno un’immagine un po’ diversa da quella delle tradizioni nate intorno ad essa. Per cominciare, vediamo dove nacque Gesù e quale sistemazione furono in grado di trovare Maria e Giuseppe. Il Vangelo di Matteo dice che Gesù nacque a Betlemme, ma non dà altri particolari oltre a questo. Luca afferma che Gesù nacque nella “città di Davide” e aggiunge che questa città era Betlemme. Nel Vecchio Testamento Gerusalemme era chiamata la città di Davide, perché fu lì che regnarono Davide e molti dei successivi re d’Israele. Betlemme però era la città dov’era nato Davide e da cui aveva origine la sua famiglia, così era anche conosciuta localmente come la città di Davide. Anche se i lettori locali del Vangelo di Luca avrebbero capito che si parlava di Betlemme, lui citò specificamente il nome del villaggio, poiché scriveva soprattutto per i credenti non ebrei, che non avrebbero fatto il collegamento.

Giuseppe e Maria viaggiarono fino a Betlemme perché Giuseppe discendeva dalla stirpe reale di Re Davide e quindi doveva tornare alla sua città ancestrale per il censimento in corso. Poiché era obbligatorio per tutti tornare alle loro dimore ancestrali per partecipare al censimento, Betlemme, un piccolo villaggio, molto probabilmente aveva molti visitatori e quindi la maggior parte degli alloggi era occupata.

Generalmente oggi si ritiene che Giuseppe e Maria fossero andati al locale albergo, dove eventuali viaggiatori avrebbero alloggiato, e dato che era pieno furono respinti. Il fatto che il villaggio di Betlemme non fosse su una delle strade principali rende piuttosto improbabile la presenza di una locanda. La parola greca usata da Luca e tradotta con albergo, o locanda, è katalyma, che nel Nuovo Testamento è usata tre volte. Le altre due volte è tradotta con sala, stanza degli ospiti.[1] Quando Luca scrisse del Buon Samaritano che portò alla locanda l’uomo lasciato per morto, usò la parola greca pandocheion; [2] quindi, se avesse voluto indicare una locanda commerciale, molto probabilmente avrebbe usato la stessa parola nella storia della nascita. Molto probabilmente voleva dire che non c’era spazio nella stanza degli ospiti, invece che nessuna stanza libera nella locanda.

Nei villaggi palestinesi del primo secolo le case consistevano di due stanze: quella principale in cui la famiglia cucinava, mangiava e dormiva, e una stanza separata per gli ospiti, collegata al fondo della casa con un ingresso separato, o costruita sopra la casa principale.

La stanza principale della casa includeva anche un posto per gli animali, situata alcuni scalini più in basso o separata dal pavimento principale da alcune travi o assi. In quei giorni, la gente che viveva nei villaggi teneva gli animali in casa di notte, sia per evitare i furti, sia per tenere caldo l’ambiente. Avrebbero portato dentro gli animali tutte le sere, per poi farli uscire la mattina.[3]

I lettori del Vangelo di Luca nel primo secolo molto probabilmente avrebbero capito il fatto che Giuseppe doveva portare la moglie incinta a Betlemme, perché vi era costretto dal censimento. Come discendenti della stirpe di Davide, Giuseppe e Maria sarebbero stati ben accolti dalla gente del villaggio. Probabilmente Giuseppe aveva dei parenti o degli amici lì, ma anche in caso contrario, per via della sua discendenza davidica gli avrebbero dato ospitalità secondo le loro possibilità, specialmente perché Maria era incinta. Che gli abitanti della città di Davide mandassero via un discendente di Davide con una moglie incinta avrebbe portato vergogna al villaggio.

In circostanze normali sarebbero stati accolti nella stanza degli ospiti in casa di qualcuno; ma poiché a causa del censimento c’erano molte altre persone da ospitare, nelle case del villaggio non c’erano stanze disponibili. Secondo le usanze ospitali del villaggio, normali in qualsiasi villaggio ebraico dell’epoca, Giuseppe e Maria furono accolti nella parte abitabile della casa di qualcuno, probabilmente un parente o un amico, e là, giunta al temine della gravidanza, Maria avrebbe dato luce a Gesù.

Dopo la nascita il bambino fu avvolto in fasce, secondo le abitudini di quei giorni, e deposto in una mangiatoia — o quella scavata nel pavimento della stanza principale vicino a dove venivano tenuti gli animali, o in una più piccola, di legno, del tipo usato per gli animali più piccoli, che presumibilmente sarebbe stata spostata dalla stalla alla stanza principale della casa.

Questa interpretazione delle circostanze in cui nacque Gesù è in armonia con la cultura giudaica del periodo.

Così, da dove sono giunte alcune delle interpretazioni tradizionali della storia del Natale? Molte giungono a noi da uno scritto del 200 d.C. circa, chiamato Protovangelo di San Giacomo. Gli studiosi hanno stabilito che l’autore non fu l’apostolo Giacomo, non era ebreo e non sapeva niente della geografia palestinese o delle tradizioni ebraiche. Raccontò la storia della nascita e della vita di Maria e proseguì con la nascita di Gesù.

È da questa storia che la gente si fece l’idea che Maria cominciò ad avere le doglie la notte che arrivò a Betlemme, che Gesù nacque in una grotta, che Maria era da sola durante il parto, che Giuseppe era un vecchio che aveva già altri figli e che Maria non solo era vergine prima della nascita di Gesù, ma rimase vergine tutta la vita. Alcune di queste idee rientrano nelle storie tradizionali e nella fede cattolica, ortodossa e protestante.

Naturalmente, che Gesù sia nato in una grotta, in una stalla o in una casa del villaggio, non è una questione essenziale e certamente non vale la pena di crearvi intorno un dibattito. La cosa essenziale è che nacque, che morì per i peccati del mondo e che tutti abbiano l’opportunità di saperlo. Conosciamo Gesù perché in qualche momento della nostra vita qualcuno ci ha parlato di Lui. È stata una grande benedizione per noi.

Gesù ci ha chiesto di condividere con gli altri quello che abbiamo ricevuto. Questo è il mandato che ci ha affidato. Ci chiede di piantare questo seme nella vita degli altri o di annaffiarlo o di mieterne i frutti, a seconda dell’occasione. Ci chiede, come suoi seguaci, di mostrare il suo amore, di parlare agli altri di Lui e di presentarlo a chi non lo ha ancora incontrato.

Lui v’indicherà che metodo usare a seconda di chi incontrerete, perché ogni persona è diversa e ha esigenze diverse. Tutti però hanno bisogno di Lui. Hanno bisogno del suo amore, della sua pace e della sua salvezza. Ognuno di noi ha i mezzi per portare Lui e il suo amore nella vita degli altri, quindi cerchiamo di fare tutto il possibile, va bene?

Pubblicato originariamente in inglese nel dicembre 2012.
Adattato e ripubblicato l’11 dicembre 2017.


[1] Luca 22,11 e Marco 14,14.

[2] Luca 10,34.

[3] Kenneth Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove, Ill: IVP Academic, 2008), 28–34.

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